Aumentano i reati via social

In teoria i telefonini sono vietati a scuola. Lo prevede la legge, votata nel 2020 dal Gran Consiglio per contrastare il cyberbullismo. In pratica è un altro paio di maniche. Alla Spai di Trevano ad esempio gli smartphone vengono «tassativamente custoditi negli zaini» durante le lezioni, e vanno tenuti spenti anche durante gli intervalli. Ma questo non impedisce che gli studenti «smanettino» di nascosto prima o dopo le lezioni o durante i lavori pratici. «Non possiamo controllare tutti» ammette la direttrice Cecilia Beti.
Fatto sta che - legge o non legge - l’uso del telefonino non è così infrequente e nemmeno l’abuso. Allievi che fotografano i compagni, altri che si spingono oltre e passano dallo sfottò alla persecuzione. «I comportamenti possono essere di varia gravità, ma una semplice fotografia non richiesta è già un motivo sufficiente per metterci in allerta» spiega la direttrice. In un caso Beti ha dovuto contattare la Polizia cantonale.
Quattro contro uno
Quattro scolari ne angariavano un quinto condividendo le immagini sui social. Il problema è emerso - neanche a farlo apposta - dopo l’intervento in classe del Gruppo Visione Giovani della polizia, nell’ambito dei normali incontri di sensibilizzazione all’inizio del percorso scolastico. «In quel caso abbiamo dovuto richiamarli dopo poco tempo, per presenziare a un incontro tra la famiglia della vittima e quelle dei quattro allievi».
Nessuna denuncia, e per fortuna l’accanimento è finito lì. Ma non tutti gli interventi della polizia nelle scuole si risolvono per il verso giusto. L’anno scorso il Gruppo Visione Giovani è stato sollecitato in tutto 708 volte, con richieste di aiuto da parte di genitori o Direzioni di istituti scolastici. Gli agenti hanno svolto 473 interventi di prevenzione nelle scuole, 262 colloqui di conciliazione con i minori e con le famiglie. Non concernono solo il cyber bullismo. Ma oggi giorno è molto facile che le due cose vadano di pari passo.
Chi va dall’avvocato
«La violenza fisica o psicologica viene spesso ripresa e immediatamente trasferita su telefonini e social network» racconta l’avvocato Michela Ferrati dell’associazione Ti Rispetto, nata nel 2019 per sensibilizzare sulla tematica. «Inizialmente ci occupavamo per lo più di violenza fisica, poi abbiamo visto che molto spesso oggi la condivisione via social è una parte integrante della prevaricazione stessa». Formata da un team «no profit» di professionisti, pedagogisti e psicologi, l’associazione ha visto aumentare costantemente le richieste di aiuto in quattro anni. Un dato interessante è che «abbiamo a che fare con ragazze e ragazzi sempre più giovani, nelle mani dei quali i telefonini a volte diventano delle vere e proprie armi» spiega l’avvocato.
Nella sua attività professionale, a Ferrati è capitato di scrivere a scuole e famiglie per segnalare comportamenti persecutori o abusi dei social. «La diffida di un avvocato può essere uno strumento efficace, chiaro che poi la scuola ha un ruolo decisivo - spiega Ferrati -. Nella nostra esperienza, abbiamo visto che la maggioranza degli istituti è molto attenta, una minoranza lo è un po’ meno».
Prevenire, educare e proteggere
Sono una minoranza, per fortuna, anche i casi che sfociano in un procedimento penale. Il reato di cyberbullismo non esiste (nemmeno quello di bullismo) ma l’uso/abuso delle nuove tecnologie è frequente nei casi di minaccia, ingiuria, intimidazione tra giovanissimi, spiega la Magistrata dei minorenni Fabiola Gnesa. «Non sempre si arriva a una querela, in genere si cerca di intervenire a livello di prevenzione. Lo scopo del diritto penale minorile non è solo punitivo ma soprattutto educativo e protettivo».
In genere, il primo intervento dell’autorità è volto al chiarimento. Agenti specializzati della Polizia cantonale - il citato Gruppo Visione Giovani, appunto - partecipano ad incontri con gli allievi interessati e le rispettive famiglie. «Si tratta soprattutto di capire se il ragazzo o la ragazza hanno bisogno di essere seguiti in maniera più incisiva» illustra Gnesa. «Il nostro scopo è sempre l’educazione e la protezione. Con il coinvolgimento degli istituti scolastici, spesso si riesce ad evitare il procedimento penale».
Pornografia in aumento
In compenso il dilagare di telefonini e social network ha impattato in altro modo sulle statistiche della Magistratura dei minorenni. A spulciare tra i rendiconti dal 2008 a oggi balza all’occhio la voce «reati contro l’integrità della persona». Nell’arco di quindici anni si è passati da uno-due procedimenti all’anno («prevalentemente si trattava di atti sessuali, che per fortuna continuano a mantenersi ancora oggi a un livello numerico piuttosto basso» precisa Gnesa) a venti volte tanto. Una crescita esponenziale in particolare dal 2015: 8 incarti che sono diventati 14 l’anno successivo, 23 nel 2018 e 62 (il record) nel 2019. Da allora i procedimenti si sono assestati sulla quarantina all’anno (46 nel 2020, 30 nel 2021, 45 nel 2022) e il trend si spiega secondo la Magistrata «in gran parte proprio con l’uso delle nuove tecnologie». Il reato più rappresentato è quello della pornografia, ossia quando «i ragazzi e le ragazze producono, trasmettono e condividono delle rappresentazioni di pornografia sia legale che illegale».
Qui rientra anche il «sexting» , l’invio e la condivisione di immagini intime spesso per ripicca. Per fortuna «negli ultimi anni abbiamo visto diminuire notevolmente i casi di pornografia auto-prodotta e poi condivisa sui social, molte volte la classica ripicca tra ex fidanzati insomma» osserva Gnesa. «Il grande lavoro di prevenzione e sensibilizzazione fatto nelle scuole ha portato sicuramente i suoi frutti».
Una buona notizia, a cui ne fa da contraltare un’altra meno buona. Ad essere aumentata è la condivisione online di immagini vietate pre-confezionate (video o foto già circolanti in rete) con contenuto sessuale o violento. Immagini che una volta ripubblicate sui social vengono segnalate automaticamente alla Polizia federale, e quindi alla magistratura. «In questi casi ancora numerosi emerge una mancanza di consapevolezza, purtroppo, da parte di molti giovani su cosa sia lecito condividere e cosa no» conclude il magistrato dei minorenni.
Segno che il divieto dei cellulari in classe non basta. E che sensibilizzare è ancora un’urgenza.