Confine

Che pasticcio con i (nuovi) frontalieri

Dopo l'accordo fiscale c'è chi aggira le regole sul telelavoro, sindacati e Cantone sono sotto pressione
©Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Davide Illarietti
Andrea BertagnieDavide Illarietti
14.04.2024 06:00

Maria ha quasi perso le speranze. Perché dopotutto quelle «entrate» le avrebbero fatto comodo. Giacché, sommate alla sua quota di affitto, le avrebbero fatto risparmiare un bel po’ di soldi per la pigione. Maria è inquilina in uno dei Comuni italiani di confine e fa la frontaliera. Abita in un bilocale in cui fino a ieri risiedeva con il suo compagno e altri due inquilini. Che però non vedeva mai perché, anche se avevano registrato la loro residenza in quell’appartamento e pagavano poco meno di 300 euro al mese per l’affitto, in realtà non c’erano. Pagavano solo per avere la residenza in quel Comune e beneficiare così di una tassazione agevolata.

Una pratica scorretta, ovviamente. Che in passato è stata anche perseguita più volte dalle forze dell’ordine italiane. E che oggi non ha più senso, meglio, ha perso la sua «utilità illegale», per buona pace di Maria. A rendere vane le «residenze fittizie» ci ha pensato infatti il nuovo Accordo fiscale per i frontalieri che a partire dal 2025 non farà quasi più alcuna distinzione fiscale tra frontalieri «fuori fascia» e «dentro fascia», detto altrimenti, tra quei frontalieri che abitano nei Comuni italiani di confine e quelli che invece risiedono a più di 20 chilometri dalla frontiera.

Fatto l’accordo, trovato l’inganno

In compenso, nuove irregolarità hanno preso il posto delle vecchie. In una serie di recenti incontri organizzati dai sindacati a cavallo del confine è emerso come il nuovo tasto dolente (uno dei tanti) si chiama telelavoro. Una «zona grigia» non regolata dal nuovo accordo, in cui in teoria vige un limite fissato da una convenzione provvisoria (il 25 per cento dell’orario lavorativo), in pratica i modi per aggirarlo sono molteplici. L’ultimo segnalato ai sindacati Ocst e Cgil (dal lato italiano) riguarda lavoratori assunti in Italia da aziende d’oltre Gottardo, a Zurigo e Zugo, nel settore del terziario avanzato e in particolare dell’informatica. Figure che, per natura, possono ricorrere al lavoro «in presenza» in misura ridotta rispetto ad altre categorie. Ben oltre la soglia delle 10-12 ore settimanali fissate dalla convenzione tra Roma e Berna. Come si aggira l’ostacolo?

Semplice, o quasi. I frontalieri «zurighesi» per non recarsi quotidianamente oltre Gottardo dalla Lombardia farebbero tappa in Ticino, dove - secondo le testimonianze emerse in un recente incontro con i sindacati - lavorerebbero all’interno di spazi di co-working, in particolare nel Luganese. Un lavoro che andrebbe tassato in Ticino (una sorta di tripla tassazione) e che di fatto non è contemplato dal nuovo accordo: in teoria i nuovi frontalieri - o telefrontalieri - sono impiegati solo nei Cantoni al confine con l’Italia, non in Svizzera interna.

«Un gioco pericoloso»

Chi si è rivolto ai sindacati per chiedere chiarimenti su questa e altre possibilità di «aggirare» i paletti - e le lacune - della convenzione, è stato messo in guardia: «Qualsiasi soluzione creativa è molto rischiosa, anzitutto per i lavoratori», sottolinea Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale del settore frontalieri per la Cgil. «Noi lo ripetiamo a tutti: evitate modalità di lavoro che scaricano sul lavoratore la responsabilità di un pasticcio normativo». Sforare anche solo di poco la quota di «home-office», precisa Augurusa, per le autorità italiane comporta la perdita dello status di frontaliere, con le conseguenti ricadute fiscali.

Il nodo-disoccupazione

Detto questo, che intorno all’accordo italo-svizzero si sia «pasticciato» parecchio lo dimostrano i dibattiti - anche accesi - tra sindacati e governi, soprattutto sul fronte italiano: nei giorni scorsi se n’è parlato a Bruxelles in una serie di incontri «tecnici» tra parti sociali e Commissione Europea, a cui hanno partecipato anche Unia e Ocst. Oltre al telelavoro - «il tema dei controlli è sicuramente delicato» - i punti caldi sono la famigerata ‘‘tassa della salute’’ (un nuovo balzello per i frontalieri) e il nodo-disoccupazione. «Durante i negoziati per il nuovo accordo il governo italiano si era impegnato tra le altre cose a modificare l’indennità dei frontalieri che rimangono senza lavoro», sottolineano Paolo Coppi e Andrea Puglia dell’OCST, a margine degli incontri a Bruxelles. In teoria ai frontalieri - vecchi e nuovi - era stato promesso un indennizzo pari all’80 per cento del salario svizzero, nei primi tre mesi di disoccupazione. «Ma la promessa sta incontrando difficoltà applicative e a quasi un anno dall’entrata in vigore dell’accordo e la questione continua a essere rimandata».

La diatriba geografica

Un altro punto d’attrito, poi, è prettamente geografico. E riguarda la famosa lista dei comuni di frontiera, quelli che rientrano nella fascia dei 20 km dal confine. Nel vecchio accordo - del 1974 - erano 337, ora sono 518. La nuova «fascia di confine», misurata ‘‘al millimetro’’ dall’Aeronautica militare italiana, include in sostanza 181 nuovi Comuni che spaziano dalla Valle d’Aosta alla provincia di Brescia: un’area ben più vasta di quella «storica» definita, per tradizione, dai flussi dei vecchi frontalieri.

«Promesse disattese»

Qui appunto nasce il problema.Nella nuova mappa sono state inserite città anche grandi come Saronno (38mila abitanti), Meda in Brianza (23mila) o Sondrio (21mila). Da queste zone nei mesi scorsi sono arrivate diverse telefonate alla Divisione delle Contribuzioni di Bellinzona, da parte di frontalieri di lungo corso: se «ora» rientrano nella fascia di confine, è la domanda, non hanno diritto di rivendicare per sé lo status di «vecchi frontalieri», e il conseguente beneficio fiscale?

La risposta da parte ticinese è stata, finora, no. «Diversi datori di lavoro e dipendenti ci hanno contattati», conferma il direttore della Divisione Contribuzioni Giordano Macchi. «La nostra è una risposta giuridica - precisa - non discende in alcun modo da considerazioni di gettito per la Svizzera. Eventualmente le considerazioni potrebbe farle l’Italia, che andrebbe a perdere del gettito fiscale se non trattasse queste figure come nuovi frontalieri».

Polemica a Roma

Sul fronte italiano la questione non è per niente pacifica. Ne sono scaturite due interrogazioni presentate nelle scorse settimane a Roma dai deputati Mauro del Barba (Italia Viva) e Toni Ricciardi (PD). «In questo aspetto come in molti altri le aspettative dei frontalieri sono state deluse e raggirate», sottolinea Ricciardi. «Vale lo stesso - aggiunge - per il telelavoro, su cui non c’è ancora nulla di definitivo nonostante gli impegni presi, e per la tassa della salute tirata fuori a sorpresa dal governo italiano, a negoziati conclusi e senza consultare le parti sociali». Dal canto suo il combattivo sindaco di Lavena Ponte Tresa Massimo Mastromarino, presidente dell’Associazione dei comuni italiani di frontiera, invoca un incontro chiarificatore. «L’Italia dice una cosa, il Ticino un’altra - taglia corto -. La cosa migliore in questi casi è convocare il tavolo misto per chiarire in via amichevole qualsiasi controversia interpretativa. E penso che succederà da qui a qualche mese». Sperando che non finisca come capitava nell’epoca ante-accordo. A stracci.

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