Nuovi poveri

Chi fa la fila per il pane a Lugano: «Abbiamo toccato il fondo»

Pensionati, famiglie (di sette persone) e un ex avvocato: le richieste di aiuto in Ticino aumentano con il carovita
La coda fuori dal Tavolino Magico di Viganello
Davide Illarietti
19.11.2023 06:00

Al tavolo sono in tre. «Prego, si accomodi». Il posto libero è uno dei pochi: in un quarto d’ora la mensa di Cornaredo si è riempita, c’è un allegria da pranzo di festa - «perché i poveri dovrebbero essere sempre tristi?» si ironizza - anche se è un mezzogiorno infrasettimanale. Del resto la clientela è per lo più senza lavoro. E negli ultimi tempi non ha fatto che aumentare.

Le associazioni che si occupano di sostegno alla povertà in Ticino concordano nel registrare una crescita di utenti. Dopo la pandemia, il carovita ha spinto una platea più variegata di persone - dai pensionati ai cosiddetti «working poors» - a chiedere aiuto. Il trio di commensali è un campione rappresentativo: è composto - abbastanza casualmente - da un avvocato di Lugano in pensione, un giovane francese attivo nel commercio della canapa light e un immigrato curdo con decreto d’espulsione. I primi due sono clienti occasionali, ma ammettono di faticare ad arrivare a fine mese.

Tre storie difficili

«Ho toccato letteralmente il fondo» confessa l’ex avvocato. Dopo una serie di peripezie finanziarie - finite con una condanna per appropriazione indebita, agli onori delle cronache - ha subito dei pignoramenti immobiliari. Ora vive di AVS in un appartamento destinato ad andare all’asta. «Sono venuto a vedere questo posto, mi è stato consigliato da un’associazione» spiega. «Penso che tornerò».

Un utente ritira il pasto alla mensa di Fra Martino a Cornaredo (foto Zocchetti)
Un utente ritira il pasto alla mensa di Fra Martino a Cornaredo (foto Zocchetti)

Anche il giovane francese non nasconde di essere in difficoltà con il costo della vita in Ticino. Si è trasferito da alcuni mesi per lanciare assieme a degli amici «un progetto di promozione della canapa a fini terapeutici» ma per ora il lavoro non è retribuito, racconta. «Speriamo che lo diventi. Io ci credo. Ma intanto devo arrangiarmi».

Il terzo commensale è invece un cliente fisso, suo malgrado. «Nei periodi buoni preferisco cucinare a casa. Questo non è un periodo buono» racconta il 50.enne curdo, che dopo 22 anni in Ticino ha ricevuto un decreto d’espulsione - «ho perso il lavoro, sono finito in assistenza» - oggetto di un ricorso presentato assieme al Soccorso Operaio. Il menù è ottimo come il prezzo - oggi polenta, brasato e verdure grigliate a 5 franchi - i commensali concordano, l’amaro in bocca è dovuto ad altro.

Un luogo di ritrovo

La mensa del centro Betlehem a Lugano si è trasferita ad ottobre dalla Resega alla Masseria ristrutturata di Cornaredo, aumentando la capacità di pasti - fino a 150 al giorno - e aggiungendo il servizio serale. La scelta del prezzo fisso senza tessere - la mensa è aperta a tutti - fa parte di una filosofia precisa. «Chiunque può venire qui e non gli chiediamo chi è o da dove arriva» sottolinea il responsabile Fra Martino Dotta da dietro il bancone. «Questo è anzitutto un luogo di socializzazione pensato per contrastare l’emarginazione sociale».

Il pasto alla mensa della Fondazione Francesco (foto Zocchetti)
Il pasto alla mensa della Fondazione Francesco (foto Zocchetti)

Il piacere della compagnia è per molti un motivo in più - spesso «il» motivo - per venire qui. La prova arriva dopo il caffè. In un altro tavolo una comitiva di amici si attarda a chiacchierare del più e del meno: l’AVS che non basta, i rincari al supermercato, le elezioni. «Ci sentiamo per telefono e veniamo insieme, spesso ci vediamo anche nel pomeriggio» racconta Fabio. Ex agente di sicurezza, 48 anni, da quando ha smesso di lavorare per problemi di salute ammette di fare «molta fatica a trovare occasioni per socializzare». I suoi compagni di tavolo - due pensionati, un altro 50.enne in AI - evitano le interviste, lui no. «C’è gente che si vergogna a venire qui» spiega. «Anche se ha cambiato sede per molti è ancora la mensa dei poveri. Io non ho problemi invece a dire che sono in difficoltà».

In coda per la spesa

La mensa di Fra Martino chiude alle 13.30 e gli utenti si disperdono per la città. Non tutti hanno una casa dove tornare - «io dormo dove capita, spesso all’aperto» confida un avventore - e ognuno si arrangia come può. Alle 15.00 in via Guisan il giovedì c’è la distribuzione alimentare. In un vecchio capannone di proprietà del Comune, tra i palazzi di Viganello, i volontari del Tavolino Magico consegnano la spesa donata ai bisognosi dalle catene della grande distribuzione.

In coda fuori dal magazzino ci sono già una decina di persone un quarto d’ora prima dell’inizio della distribuzione. È meglio arrivare presto perché la fila nei giorni di «punta» arriva fino a metà del piazzale, spiega una pensionata in testa alla coda. «Il cibo - tranquillizza - c’è sempre per tutti ma si rischia di aspettare un po’». Alle 15 in punto all’ingresso viene posizionato un tavolino con un computer portatile. La fila avanza. «Un momento, un momento! Non ho ancora acceso il terminale» protesta un volontario. «Ecco, avanti il primo».

Il timbro sulla tessera

Ognuna al suo turno, le persone in fila si fanno avantipresentando la propria tessera. C’è scritto il numero dei componenti del nucleo familiare, il volontario lo legge ad alta voce - «Uno! Tre! Quattro!» - per farlo sentire agli assistenti all’interno del magazzino, che preparano le borse di conseguenza.

Il magazzino di Viganello è stato aperto in aprile. I beneficiari del Tavolino Magico in un anno sono aumentati di circa il 7 per cento - vedi articolo a fianco - al netto delle tessere che periodicamente vengono ritirate dai servizi sociali. A Viganello, ad esempio, di recente sono passati da 55 a 40 perché - spiegano i volontari - alcune famiglie nonostante tutto hanno migliorato le loro entrate economiche.

«Sette!» esclama il volontario davanti alla tessera di Marta. Madre single con sei figli a carico, è venuta con uno di loro che la aiuta a caricare le buste - una decina - su una Cinquecento presa in prestito da amici. Si definisce una «ticinese atipica» e non si vergogna di chiedere aiuto. «Apprezzo molto il lavoro dei volontari. Soltanto, non me la sento di essere fotografata».

Alla fine della fila ricompare anche Fabio, arrivato direttamente dalla mensa di Fra Martino. Mostra la tessera con un sorriso - «uno !» - e se ne va con la borsa piena. Questa volta la coda si è smaltita in fretta. Ma l’inverno è lungo e nei prossimi mesi i volontari sono sicuri che le tessere aumenteranno ancora.

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