Ticino

Come si chiude lo stabilimento

A fine anno Novartis abbandonerà Locarno – Gli ultimi dipendenti pensano al futuro lontano dal Ticino
Fabio D'Urso fuori dallo stabilimento Pharmanalytica a Locarno. © CdT / Gabriele Putzu
Davide Illarietti
26.11.2023 08:30

Davanti alla Novartis in via Balestra a Locarno c’è un enorme griglia di posteggi bianchi, tutti vuoti. Il direttore Fabio D’Urso allarga le braccia. «Come si può vedere siamo rimasti in pochi» dice. Nel piazzale l’atmosfera è surreale, di ordinato abbandono. Non una «cicca» per terra né l’ombra di un essere umano.

Eppure nello stabilimento della multinazionale farmaceutica lavorano ancora 19 dipendenti «superstiti». Il loro compito è accompagnare il sito alla chiusura dopo 86 anni di attività ininterrotta. Nel momento di massimo splendore, una decina d’anni fa, il laboratorio occupava 115 persone: si occupava di analizzare la qualità dei farmaci messi sul mercato dal colosso renano ed era il più grande in Ticino. Poi il declino: i dipendenti erano già scesi a una cinquantina nel giugno 2021, quando da Basilea è arrivata la decisione.

Data di chiusura: 31 dicembre 2023. La scadenza indicata due anni fa (e riferita dai media) è stata rispettata alla lettera. Nel 2022 il personale è sceso da 50 a 35 unità. Nel corso di quest’anno è toccato a un altro «scaglione» di 15 dipendenti, di cui 9 a settembre. La scelta di comunicare da subito il piano di dismissione - e non all’ultimo, come a volte accade - è stato «un atto apprezzato di trasparenza verso i dipendenti» sottolinea D’Urso. Ma come si chiude uno stabilimento di queste dimensioni e quali implicazioni (a cominciare dal personale) vanno messe in conto?

Una realtà storica

«Evidentemente si tratta di un’operazione complessa» sottolinea D’Urso facendo strada tra gli uffici e le sale d’analisi semi deserte. Qua e là scatoloni vuoti, come prima di un trasloco, tra gli scaffali decine di ampolle che nessuno userà più. «Le tempistiche sono più lunghe di quanto si possa immaginare». Non è la prima volta che il sito di via Balestra affronta una trasformazione difficile. L’impianto che ora fa capo alla Pharmanalytica SA è nato nel 1937 come Chemie Lautenberg & Cie. Nel secolo scorso ha cambiato nome più volte - Selectochimica Lautenberg, Wander Chimica SA, famosa per produrre l’Ovomaltina- ma l’attività non si è mai fermata ed è stata quella, sostanzialmente, di uno stabilimento chimico. Nel 1996 a seguito della fusione tra Ciba-Geigy e Sandoz - ultimo proprietario - passa alla Novartis assieme a un’eredità non semplicissima dal punto di vista ambientale.

Diversi milioni di franchi sono stati spesi nel decennio successivo dalla multinazionale basilese, per risanare l’area inquinata dalle attività passate. Proprio in quegli anni D’Urso inizia a lavorare in via Balestra. All’epoca come molti colleghi si occupava di testare la stabilità dei farmaci: a Locarno arrivavano campioni di prodotti Novartis da tutto il mondo per essere analizzati periodicamente. «Il nostro compito è sempre stato verificare che la qualità dei farmaci rimanesse invariata con il passare del tempo» semplifica D’Urso con un po’ di nostalgia.

La rivoluzione «fatale»

All’apice della produttività lo stabilimento arriva a occupare un terzo degli impiegati del settore chimico-farmaceutico nel Locarnese, composto da una ventina di aziende più piccole. Ma nel 2017 arriva la svolta. «Negli ultimi due decenni in campo farmaceutico è avvenuta una specie di rivoluzione» sottolinea il direttore. «Da prodotti di tipo tradizionale si è passati a una nuova generazione di farmaci, biologici e personalizzati». Anche i macchinari e le competenze necessarie sono cambiati: in un batter d’occhio il sito di Locarno si è scoperto superato. «L’azienda ha innovato le strategie. Questo ha determinato un calo della domanda di attività che veniva svolta prevalentemente qui».

In men che non si dica i laboratori di via Balestra sono rimasti ad analizzare quasi solo farmaci vecchi. Le attività rimaste sono state gradualmente trasferite in altri siti della multinazionale fuori Cantone. «Il motivo per cui il piano di chiusura è stato così graduale è che le analisi sulla qualità dei farmaci in commercio vanno garantite fino al completo trasferimento ad altre strutture». Il resto del lavoro ancora da sbrigare è di tipo burocratico e non troppo entusiasmante: comunicare ad autorità e partner la chiusura dello stabilimento e la rilocalizzazione delle attività ad altri centri Novartis all’estero e oltre Gottardo.

Ricollocare il personale

E i dipendenti? Anche loro si trasferiranno. «Il personale è stato fin da subito la nostra principale preoccupazione» spiega D’Urso. Nel piazzale al centro dello stabilimento c’è una buvette dove i collaboratori rimasti si riuniscono per colazione e fare «team building». Arrivano alla spicciolata dagli uffici e per un momento il vuoto si ripopola. Una buona parte di loro ha già trovato un impiego per dopo. «Molti dei nostri impiegati hanno una formazione accademica e la nostra azienda ha sempre avuto un’ottima reputazione» spiega D’Urso.

C’è chi ha trovato lavoro a Biasca, chi a Lugano. Un paio di ex dipendenti si sono messi in proprio. Molti sono stati riassunti da Novartis a Basilea e hanno concordato con l’azienda una quota di telelavoro e il rientro settimanale, come nel caso di un’impiegata licenziata a settembre che è venuta in azienda a festeggiare il compleanno di una ex collega. «I rapporti sono ottimi e del trattamento non possiamo lamentarci» conferma.

Effettivamente il piano sociale concordato due anni fa con i sindacati è da fare invidia. Oltre a una buonuscita «generosa» ha previsto anche una formazione pagata dall’azienda, e l’impiego di consulenti interni ed esterni che hanno aiutato il personale nel ricollocamento. Un fondo di aiuto sociale accessibile fino a tre anni dal licenziamento per i lavoratori con figli all’università o problematiche economiche.

I sindacati, contattati, si dicono soddisfatti del percorso intrapreso. Resta il nodo del futuro dello stabilimento. La farmaceutica nel Locarnese ha perso un pezzo importante, e non naviga in ottime acque. D’Urso, che è stato nominato direttore un anno fa «con il preciso compito di accompagnare la struttura alla dismissione» non sa cosa ne sarà dopo. Neanche di sé stesso. «Non ho ancora preso decisioni. Vedremo». Dopo vent’anni a Locarno forse anche per lui è giunto il momento di prendere il largo.

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