Società

Con la Sardegna nel cuore

Arrivati in massa per lavorare alla Monteforno, oggi i sardi promuovono la loro isola e i legami con il Ticino
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
18.02.2024 13:01

«Il sardo sa tramandare l’affetto per la sua isola». Nando Ceruso, una vita da sindacalista, è arrivato in Ticino dalla Sardegna a 17 anni e da allora non l’ha più lasciato. La sua storia, come quella di molti altri suoi corregionali, è legata a doppio filo alla Monteforno, l’acciaieria oggi chiusa, che nel suo massimo splendore, negli anni ’60-’70 impiegava fino a 900 operai, «di cui almeno 300 sardi», precisa Ceruso che alla Monteforno ha mosso i primi passi sindacali. Era un Ticino diverso quello che hanno scoperto i primi sardi arrivati per lavorare soprattutto a Bodio. Un Ticino che guardava gli italiani con distacco, anche se aveva bisogno di loro per far funzionare le fabbriche e costruire le strade.

Quasi una vita fa, a pensarci bene. Perché nel frattempo molti di quegli operai se ne sono andati, mentre altri, «circa il 20-30%», sono rimasti e oggi sono genitori e nonni di figli e nipoti nati in Ticino. Quasi una vita fa, si diceva. Perché nel frattempo tutto si è accorciato, come le distanze dalla Sardegna, raggiungibile da Malpensa in un’oretta, ma anche le differenze. Tanto che sentirsi sardi oggi significa riscoprire le radici, riannodare legami che si sono diluiti nel tempo. Ma non sono mai spariti.

Alla ricerca di un lavoro migliore

Perché «a unirci è uno spiccato senso di solidarietà che ha le suo origini nel mondo agropastorale sardo», precisa Ceruso. «Quando a un pastore veniva rubato un gregge ogni paesano dava il suo capo migliore per riformare il gregge sottratto». Ma anche una solidarietà che ha radici storiche e trae origine dalla sofferenza «patita a causa delle culture dominanti che in passato hanno soggiogato l’isola, dai casati reali ai latifondisti», sottolinea l’ex sindacalista. Che ricorda come tutto è cambiato con la fine degli anni ’50, quando «i giovani hanno iniziato a ribellarsi» e a cercare un lavoro migliore. Prima a Milano, Torino e Genova. E poi anche all’estero. Come in Ticino e nel resto della Svizzera, dove i sardi oggi si stima siano almeno 40 mila.

Per spiegare l’immigrazione in Ticino bisogna rifarsi a due paesi, Oschiri e Tula, vicino al lago Coghinas. Che guarda caso è anche il nome del circolo sardo più grande nel cantone. Che ha sede a Bodio ed è presieduto da Pietro Fadda. «Fu proprio a Oschiri e Tula che l’allora responsabile delle risorse umane della Monteforno, Carlo Franscini - racconta Ceruso - iniziò a reclutare i primi operai per l’acciaieria su consiglio del direttore tecnico milanese della fabbrica, Giovanni Morini che con i sardi aveva combattuto la Seconda guerra mondiale e ne conosceva il valore».

Dalla Monteforno ai gemellaggi

Fu così che a centinaia raggiunsero la fabbrica (anche dal resto della Sardegna, grazie al passaparola) e piano piano diedero vita alla prima comunità in Ticino. Una comunità che si è distinta anche al di fuori dall’acciaieria, se è vero come è vero che vennero fondate società sportive e ricreative, circoli e tutta una serie di attività legate al territorio. Il filo conduttore era sempre lo stesso: avvicinare la cultura sarda a quella ticinese, tessere legami, creare gemellaggi. Un obiettivo rimasto ancora oggi. Perché tutte le iniziative dei sei circoli sardi in Svizzera aderenti alla Federazione dei sardi nel mondo, come dice nell’articolo in basso Domenico Scala, vicepresidente vicario della Consulta per l’emigrazione della Regione Sardegna, vogliono far conoscere la Sardegna nel mondo, ma anche avvicinare e costruire con i Paesi di immigrazioni relazioni solide e durature. Non solo a Bodio. Ma anche ad esempio a Lugano, dove il circolo Sa Berritta fondato ormai 40 anni fa «è passato da essere un punto di aggregazione per gli emigranti - spiega il segretario Alessandro Pusceddu - a un luogo in cui sviluppare eventi e iniziative capaci di mettere in connessione i rapporti tra la Sardegna e la Svizzera». Nato nel 1980, il vivace circolo Coghinas - per tanti sardi un punto di riferimento storico - oggi lavora su un doppio versante. «Promuoviamo la Sardegna e un gemellaggio sano e positivo con il Ticino», precisa Fadda.

Ombrosi fino a quando si diventa amici

Ombrosi fino a quando «non si diventa amici», riprende Ceruso, gran lavoratori (le condizioni alla Monteforno tra caldo infernale e fatica erano al limite del sopportabile) ma anche impegnati nella società e portatori di un grande senso di giustizia che sempre alla Monteforno produrrà significativi miglioramenti salariali e prestazioni sociali in anticipo sui tempi, «come la cassa pensioni», annota l’ex sindacalista, oggi i sardi sono insomma parte integrante della realtà ticinese. Pur avendo sempre la propria isola nel cuore.

In questo articolo:
Correlati
Saudade ticinese
I portoghesi sono la seconda comunità straniera più numerosa in Ticino – Ma molti stanno tornando in patria – Siamo andati a capire il motivo