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Da una cicatrice all'altra, la doppia ferita dei cattolici ucraini

La comunità, dopo il comunismo, oggi deve fare i conti con un’altra ferita: la guerra provocata dall’invasione russa
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
13.11.2022 10:30

C’è una comunità che continua a soffrire. E che non ha quasi mai smesso di lottare per la sopravvivenza. È quella cattolica ucraina che dopo il comunismo oggi deve fare i conti con un’altra ferita: la guerra provocata dall’invasione russa. Mieczyslaw Mokrzycki, arcivescovo di Leopoli, città ucraina bombardata come altre dalle bombe di Vladimir Putin, ha sempre una mano sul crocifisso d’oro che ha appeso al collo. È sabato 12 novembre e Mokrzycki sta parlando davanti a una trentina di persone che sono venute ad ascoltarlo alla Facoltà di Teologia di Lugano. Invitato dall’opera caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) per la Settimana di commemorazione dei cristiani perseguitati in tutto il mondo, l’arcivescovo esordisce con un «sia lodato Gesù Cristo», prima di chiarire subito come «la persecuzione della Chiesa durante il comunismo è stata innegabile». In Russia, come in Ucraina, che prima del 1991, prima di diventare uno Stato indipendente, faceva parte dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).

«Non è finita»

«È una storia che ha lasciato una cicatrice enorme - ha spiegato - e ancora oggi la nostra Chiesa in Ucraina continua a incontrare ostilità e alcune forme di discriminazione». Retaggi di un passato in cui dal 1939 agli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale «sono avvenuti arresti, persecuzioni, deportazioni, chiusure di scuole, asili nidi, case di cura, ricoveri e ospedali gestiti da religiosi». Solo con l’avvento della Perestrojka, quell’insieme di riforme politiche, sociali ed economiche avviate dalla dirigenza dell’Unione sovietica a metà degli anni ‘80, ha continuato Mokrzycki, è iniziata una lenta rinascita. «Dal 1987 in poi ha avuto inizio la restituzione dei monasteri e delle chiese che erano stati chiusi, ma ancora oggi rimangono degli atteggiamenti sconfortanti difficili da accettare».

Poi come se non bastasse è scoppiata la guerra. «Un altro fardello». Un’altra cicatrice che continua a sanguinare. «Non so perché è scoppiato il conflitto, ma noi abbiamo il diritto di difenderci. Tanto più che decine e decine di villaggi sono stati distrutti e rasi al suolo, migliaia di ettari di terreni agricoli sono minati e stanno provocando la morte di tantissimi civili innocenti. Non tutte le vittime sono state ancora ritrovate, molte sono ancora sotto le macerie. E a ciò si aggiunge il numero dei soldati uccisi». Un vero dramma a cui il popolo ucraino «sta rispondendo con coraggio ed eroismo - ha continuato l’arcivescovo di Leopoli -. Non mancano i volontari per andare a combattere. Il nostro Stato è ancora giovane, l’Ucraina esiste da soli 31 anni, l’identità nazionale e il patriottismo sono molto forti. C’è un impegno a tutti i livelli».