Guerra

Dal canone non si scappa

Piovono fatture sui profughi ucraini
Andrea Stern
Andrea Stern
15.05.2022 06:00

La Serafe non fa sconti. Nemmeno a chi fugge dalla guerra. Lo ha scoperto, con sconcerto, una famiglia ucraina recentemente installatasi in un appartamento di Massagno. Nella sua nuova dimora temporanea (quella in patria è andata distrutta) il nucleo familiare non dispone di una televisione. E seppur ne avesse una, difficilmente guarderebbe i programmi della SSR, visto che nessuno di loro parla né capisce una delle lingue nazionali elvetiche. Eppure pochi giorni dopo il loro arrivo hanno trovato in bucalettere una fattura di 335 franchi. Il mittente, la Serafe, chiedeva loro di saldare il canone radiotelevisivo entro trenta giorni.

Non è un caso isolato. In Svizzera tedesca la stampa ha denunciato diversi casi di profughi ucraini che si sono visti recapitare la sorprendente fattura. In Ticino il direttore generale di Cornèr Banca, Vittorio Cornaro, ha inviato una lettera al Corriere del Ticino per raccontare la curiosa fattispecie cui ha dovuto suo malgrado assistere.«Ai primi di marzo ho accolto una famiglia di 5 rifugiati ucraini a casa mia, prontamente registrati con permesso S - ha scritto l’ingegnere Cornaro -. Ad oggi non hanno ancora ricevuto nulla per la cassa malati. In compenso ieri hanno ricevuto la fattura da pagare pro rata di 330 franchi per il canone radiotelevisivo. Ogni commento mi pare superfluo».

«Impossibile verificare»

Le spiegazioni sono invece necessarie. E sono quelle che fornisce a La Domenica il CCO (Chief Communications Officer) di Serafe, Erich Heynen. «Per l’adempimento del suo mandato - spiega Heynen -, Serafe utilizza i dati che le vengono forniti mensilmente dagli uffici controllo abitanti dei Comuni e dei Cantoni. L’organo di riscossione non è in grado di verificare se i componenti di un’economia domestica, annunciata come economia domestica privata, sono titolari dello statuto di protezione S. Questa caratteristica di dati non ci viene trasmessa».

Serafe può dunque solo fare ciò che la Confederazione le ha chiesto di fare: riscuotere il canone radiotelevisivo . «L’organo di riscossione è tenuto a emettere una fattura ordinaria per ogni economia domestica annunciata come tale nell’ambito della trasmissione dei dati», ribadisce Heynen.

I criteri per l’esenzione

È sempre possibile chiedere l’esenzione dal pagamento del canone. Ma questa viene concessa solo alle persone «sordocieche», ai diplomatici, alle persone che beneficiano di prestazioni complementari all’AVS e all’AI e alle persone che riescono a dimostrare di non possedere alcun strumento di ricezione, quindi nemmeno uno smartphone o un’autoradio. I profughi ucraini, nella stragrande maggioranza dei casi, non rientrano in queste categorie.

Essi non possono nemmeno provare a mercanteggiare invocando ragioni umanitarie visto che per Serafe «non è possibile concedere sconti». Al massimo possono chiedere la ratealizzazione del pagamento.«Il Consiglio federale ha previsto come standard la fattura annuale - ricorda Heynen -, ma in alternativa il canone può essere pagato anche con fatture trimestrali».

Se poi dovessero tornare in Ucraina, i beneficiari di un permesso S potranno sempre tentare di farsi rimborsare la parte di canone pagata in eccesso. «Le fatture del canone sono dovute unicamente per il periodo in cui i membri maggiorenni sono annunciati dai competenti uffici controllo abitanti come appartenenti alla stessa economia domestica - spiega Heynen -. In caso di scioglimento di un’economia domestica, eventuali importi residui sono rimborsati».

«Situazione eccezionale»

Se restano in Svizzera invece devono pagare il canone, come tutti. È una questione di parità di trattamento, sebbene siano in molti a ritenere che in questo caso sarebbe stato più elegante concedere uno strappo alla regola. «Siamo in una situazione assolutamente eccezionale, sei milioni di ucraini sono in fuga» ha detto la consigliera nazionale sangallese Franziska Ryser (Verdi) al 20 Minuten, chiedendo un’esenzione dal pagamento del canone per i detentori di un permesso S, almeno fino alla fine di quest’anno, in attesa di chiarire gli scenari futuri. «Dobbiamo trovare soluzioni rapide e non burocratiche».

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