Arte

Dal Ticino a Zurigo e ritorno

Il collettivo Matazz è nato oltre Gottardo dall'idea di un gruppo di studenti ticinesi – Che ora organizzano la prima esposizione a Sud delle Alpi
Davide Illarietti
04.05.2025 16:45

Vengono da diverse parti del Ticino ma si sono incontrati, o reincontrati, a Zurigo durante gli studi al Politecnico. Un gruppo di amici appassionati di arte, non artisti laureati - nel senso che hanno studiato altro - ma fili di una «matassa» creativa che si è aggrovigliata sulla Limmat per poi spostarsi a Basilea, Losanna e infine tornare a sud delle Alpi, coprendo tutte le regioni linguistiche. Il nome Matazz (si chiamano così) viene da lì e i membri rivendicano con fierezza la natura ibrida della loro iniziativa. «Non siamo dei curatori di arte tradizionali e ci piace mantenere l’identità di un gruppo eterogeneo, che dà spazio a diverse forme espressive ma va alla ricerca di un filo comune» spiegano Giona Zardini e Fabrizio Bruschetti, due dei fondatori. In realtà ora il collettivo conta una decina di membri, tutti ancora residenti a Zurigo dove stanno finendo gli studi (in ingegneria, fisica, matematica, medicina e via dicendo, età media 25 anni) e tutti appassionati di arte contemporanea: con il tempo il gruppo, nato nel 2023 con una prima mostra allo spazio Viadukt - «un evento tra amici a cui alla fine parteciparono circa trecento persone» - si è trasformato da assembramento occasionale di curatori in erba e artisti emergenti in cerca di uno spazio espositivo da condividere, per «smezzarsi» il costo dell’affitto, a qualcos’altro: non ancora una realtà consolidata, ma nemmeno più soltanto una «cosa tra amici».

Il filo della matassa

Una tappa fondamentale di questo percorso di crescita è la mostra che si terrà a Bellinzona il prossimo weekend, sabato 10 e domenica 11 maggio, nella cornice ineguagliabile del Castelgrande. Si chiama «Oltre la pietra» ed è organizzata in collaborazione con la Città e l’ente turistico, a dimostrazione di quanto questi «ragazzi» facciano in realtà sul serio e riescano a conquistare attenzioni e spazi insoliti per l’arte contemporanea, uscendo dalle gallerie. «Non abbiamo la presunzione di fare niente di rivoluzionario, ma la spinta che ci muove è certamente quella di portare l’arte fuori dai suoi circoli ristretti» ammettono Bruschetti e Zardini.

Il fatto di essere studenti di facoltà tecniche e non artistiche (almeno nel nucleo originario: poi gli artisti si sono aggiunti) ha senz’altro contribuito a dare questa impronta. Alla prima apparizione in pubblico la matassa di Matazz aveva l’inevitabile forma di un’accozzaglia (arti visive, musica, fotografia, scultura) ma già al secondo evento zurighese il gruppo si è dato un’organizzazione maggiore - costituendosi in associazione, sull’onda del successo della prima esposizione - ma anche una cornice tematica entro cui operare. «Non abbiamo rinunciato a riunire forme espressive diverse, perchè questa è la cifra che vogliamo mantenere, abbiamo però iniziato a individuare delle aree tematiche, un filo comune che unisse i diversi linguaggi» spiegano Bruschetti e Zardini.

Il successo è cresciuto e anche nelle trasferte - a Losanna prima, a Basilea poi - il format proposto da Matazz è rimasto lo stesso. Il nucleo italofono di giovani ticinesi e italiani, che continua a costituire lo «zoccolo» del collettivo e delle sue iniziative, si è aperto a coinvolgere artisti locali, romandi e renani, selezionati in base a una sensibilità comune. «L’idea è sempre stata quella di valorizzare artisti emergenti tra quelli che, nel panorama delle due città, ci sembrava potessero dialogare meglio tra di loro, facendo sempre salva la diversità delle forme espressive».

Un castello d’arte

L’esposizione bellinzonese, che chiude il cerchio delle regioni linguistiche - da non escludere una tappa romancia in futuro, chissà - in realtà è ancora qualcosa di diverso. Nel concepirla Zardini, Bruschetti e compagni si sono concentrati sull’eccezionalità della location. «Finora abbiamo esposto in luoghi belli, ma un castello non lo abbiamo mai avuto» scherzano i due amici con la consapevolezza di usufruire di un grande privilegio. «L’opportunità è arrivata un po’ per caso, un nostro amico e frequentatore del collettivo studia architettura e stava facendo una ricerca sui castelli, aveva dei contatti con la Città e ha provato a buttarla lì... un po’ per scherzo, all’inizio quasi non ci credevamo» raccontano Zardini e Bruschetti. «Poi tra telefonate e riunioni la cosa ha iniziato a concretizzarsi, e alla fine è successo. Naturalmente siamo felicissimi».

Così felici che il luogo è diventato protagonista della mostra, e l’oggetto sui cui i partecipanti - 24 artisti provenienti da 10 paesi, oltre a Svizzera e Italia Camerun, Taiwan, Iran, Messico, Polonia, Ucraina, Giappone e Grecia - sono chiamati a riflettere. «Abbiamo chiesto loro di elaborare il concetto di castello, luogo di sicurezza e difesa ma anche di confine, cercando di riunire artisti che avessero una particolare sensibilità al riguardo». Ma forse la cosa più straordinaria in questo ritorno al Ticino - il primo in quanto collettivo, a parte cioè le abituali visite alle famiglie da fuorisede - è la possibilità di assistere alla trasformazione zurighese di questo gruppo di giovani intraprendenti. Partiti per studiare medicina e fisica, e tornati con un bagaglio di creatività e apertura mentale che - al netto della laurea, che serve sempre - da solo merita senz’altro un'esposizione

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