Attualità

Donne in cerca di parole

Provengono da 60 Paesi diversi – Nella scuola dell'associazione il Tragitto, a Lugano e Locarno, vanno a lezione di integrazione
Beatrice Lafranchi. © Cdt/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
30.04.2023 23:15

Seduta al banco nell’angolo sinistro della classe, Zozan è vestita in abiti occidentali, senza velo. «Le lezioni si svolgono tre volte alla settimana, da settembre fino a giugno». La 32.enne curda, fuggita sette anni fa dalla Siria devastata dalla guerra civile, legge alla lavagna le indicazioni scritte dalla maestra. Suo figlio Adam, due anni, gioca in una stanza vicina con due educatrici e il coetaneo Muein, sudanese, mentre le mamme seguono il corso di italiano.

La lezione di oggi? «Abbiamo imparato a calcolare gli sconti sui prodotti del supermercato» spiega Zozan. Ognuna ha raccontato il proprio metodo. Dieci alunne, nove Paesi diversi: anche sulle questioni più banali i punti di vista possono moltiplicarsi all’inverosimile nell’aula di via Stabile 12 a Lugano-Besso. Venti metri quadri grandi, ma contiene tutto il mondo. E all’occorrenza fa anche da cucina.

«Cerchiamo di affrontare argomenti concreti, invitando le donne a condividere le proprie esperienze» precisa Paola Serra, docente dell’associazione Il Tragitto che a Besso oltre ai corsi di italiano organizza anche le lezioni di cucito, incontri culinari, consulenze di supporto alla genitorialità. «Ho seguito dei corsi di lingua in passato, ma quello che ho trovato qui è qualcosa di diverso» conferma Rosarina, dal Paraguay. «È un po’ come stare a casa, tra amiche».

A scuola d'integrazione

L’associazione nata nel 2010 è uno dei progetti virtuosi sostenuti dal Cantone per far fronte a un’esigenza crescente di integrazione. Due sedi, Lugano-Besso e Locarno, è frequentata da donne provenienti da 60 Paesi sparsi per tutto il mondo. La domanda è aumentata nel corso degli anni, di pari passo con i flussi migratori. «La maggior parte delle nostre utenti provengono da contesti economici svantaggiati se non da situazioni di conflitto, da cui sono state spesso toccate in modo diretto» racconta la condirettrice Beatrice Lafranchi. Eritrea, Ûcraina, Siria, Iraq, Sudan, Afghanistan. Per molte di loro anche il viaggio è stato traumatico. «Per alcune è difficile anche solo parlarne» spiega Lafranchi.

Suzana, 38 anni, è fuggita dall’Eritrea nel 2012. Da sola. È rimasta bloccata tre anni in Sudan, poi un mese in Libia, da lì ha attraversato il mare «con una barca» ed è sbarcata in Sicilia. Un viaggio che neanche Ulisse: e lo racconta come una cosa normale, che farebbe una qualsiasi ragazza per raggiungere il promesso sposo in Ticino. «Per amore» sorride. «Ora abbiamo due figli e una vita serena». Il momento più difficile? Assume l’espressione tipica di tutti quelli che ci sono passati, e risponde senza entrare in dettagli: «La Libia».

Il viaggio culturale

Sulla lavagna Sabrina Hilpisch, referente didattica, ha appeso una mappa del mondo. Ogni alunna ha scritto il proprio nome su un post-it, e lo incolla sul Paese d’origine. Mentre la mappa si riempie di nomi e colori le donne imparano, assieme alla geografia, l’importanza della diversità e delle origini. «Ognuna qui ha alle spalle una storia diversa e per molte la strada non è stata facile». E non è ancora finita, sottolinea Hilpisch. «La lingua rappresenta l’ostacolo più grande , ma non è l’unico che le donne migranti devono affrontare una volta giunte a destinazione.

La cura dei figli, la burocrazia, il contesto familiare svantaggiato sono spesso fattori di affaticamento che possono togliere energie e tempo al percorso di integrazione». Per questo motivo l’asilo che affianca la scuola - da pochi anni incluso nei finanziamenti cantonali - è fondamentale sia per le madri (dispensate così dall’accudimento) sia per i figli piccoli, i quali «spesso si trovano in questo contesto a sperimentare il primo distacco dalla madre e il contatto con la lingua italiana».

Mentre i bambini si divertono - e imparano - in un locale apposito al pianterreno, o nel giardino, le mamme negli spazi didattici studiano non solo l’italiano ma anche la geografia del Ticino, le sue istituzioni, economia domestica, un po’ di tecnologia. Nell’intervallo si preparano un tè nella cucina: ogni aula ne ha una. «Come si può vedere la nostra non è solo una scuola di lingua. Cerchiamo di fornire strumenti utili per la vita di ogni giorno, e di creare relazioni» spiega Hilpisch. «Tante cose, dopotutto, si trasmettono anche senza bisogno di parole».

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