Città Ticino

Dopo le votazioni serve un patto di paese

Due settimane fa ho votato no a tre delle tematiche in consultazione, dimostrando forse poco coraggio
Giò Rezzonico
12.10.2025 06:00

Due settimane fa, dimostrando forse poco coraggio, ho votato no a tre delle tematiche in consultazione - le due sulle casse malati e quella sul valore locativo - temendo le conseguenze che la loro accettazione avrebbe comportato per le casse cantonali e comunali. Difficoltà, ero convinto, che i nostri politici avrebbero superato con grande fatica. D’altronde ero pure convinto che il problema dei costi della salute vada risolto alla radice e non semplicemente correggendo i suoi effetti. Va quindi affrontato soprattutto a Berna (con un’eccezione che vedremo più avanti), dove le varie lobby, soprattutto delle casse malati, dei medici e delle case farmaceutiche, bloccano qualsiasi riforma seria. 

Dopo il voto di domenica la politica ticinese è dunque chiamata a mettere una pezza non risolutiva ai costi della salute. Non si trova così più a dover affrontare un bilancio con un centinaio di milioni di disavanzo, che già faticava a correggere, ma con un deficit aggiuntivo previsto di mezzo miliardo. E dove andiamo a prendere tutti questi soldi? Gli schieramenti politici, per risolvere o non risolvere questa nuova situazione, hanno creato due fronti contrapposti, che non si vede bene come potranno dialogare tra loro senza andare allo scontro diretto.

Lega, Unione democratica di centro e liberali escludono qualsiasi aumento delle entrate, cioè delle tasse, e propongono di risolvere la questione con radicali tagli all’amministrazione, cioè con meno Stato. La sinistra punta invece sull’aumento delle imposte e si dimostra disponibile a una riduzione delle spese, ma proponendo risparmi in settori opposti a quelli prospettati dalla destra. Ma una persona di buon senso può credere che sia possibile tagliare 600-700 milioni di costi dell’amministrazione statale senza smantellare i servizi del nostro stato in materia di trasporti, istruzione, ricerca e socialità? Diminuire drasticamente la qualità dei servizi sarebbe un modo equilibrato per rispondere al grido di allarme dei cittadini uscito dalle urne? Risulta chiaro, dunque, a qualsiasi persona di buon senso, che sarà necessario un «patto di Paese», che preveda di intervenire sia sulle entrate dello Stato, sia sulle uscite. Patto non facile da raggiungere dati i presupposti sopra citati e per giunta in un anno preelettorale (si voterà infatti nel 2027 per il rinnovo dei poteri cantonali), quando i partiti faranno presumibilmente prevalere le preoccupazioni elettorali a quelle per l’interesse generale del Paese. Sì, perché aderire a un «patto di Paese» comporterà accettare misure che non saranno gradite dal proprio elettorato.

Ma c’è un altro argomento tabù, che permetterebbe in parte di affrontare il problema alla radice, di cui la nostra politica non parla volentieri: quello della pianificazione sanitaria. In Ticino le spese per la salute, e di conseguenza i premi di casse malati, sono più elevati rispetto a quelli di altri cantoni soprattutto in quanto abbiamo troppi ospedali e troppe cliniche private. E si continua a costruire per aumentare l’offerta, concedendo i permessi per non scontentare nessuno. Un’offerta disorganica, che garantisce cure troppo dislocate in un cantone diventato ormai una Città Ticino. Per risparmiare è necessario concentrare le cure in un ospedale cantonale, facilmente accessibile da tutti i centri. Una realtà questa a tutti nota, ma che nessuno ha il coraggio di affrontare, perché al minimo cenno di centralizzazione sorgono subito comitati «giù le mani dal nostro ospedale regionale». Per i politici sostenere la centralizzazione significherebbe perdere voti e forse non più venire eletti. Ma anche i cittadini devono rendersi conto che non possono chiedere di pagare meno per la salute e dire no quando si propone di risparmiare. Al «patto di Paese», necessario per uscire da questa intricata situazione, deve infatti partecipare anche la cittadinanza. Forse due settimane fa sono stato poco coraggioso, forse è stato giusto creare il caso per chiedere un’inversione di rotta alla nostra politica, che deve trovare la forza, sì di risparmiare là dove è possibile, ma anche di fermare il divario che si sta sempre più accentuando in questi ultimi tempi - non solo alle nostre latitudini - tra chi sta sempre meglio e chi invece sta sempre peggio.

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