L'intervista

Enzo Iacchetti: «Anche io sono stato un frontaliere, ma adesso è cambiato tutto»

Il comico e conduttore luinese racconta di quando, da giovane, lavorava a Lugano come ragioniere. «Ora la fascia di confine si è impoverita, ma la colpa non è dei permessi G»
Davide Illarietti
18.05.2025 13:30

Se ci si immagina Enzo Iacchetti al volante di una Fiat Panda attraversare il confine fischiettando e canticchiando come Bussenghi, nei Frontaliers, l’effetto comico è assicurato e non si va molto lontani dalla realtà. «Ci sono passato anche io» ammette il famoso comico e conduttore televisivo italiano, con un sorriso. «È un’esperienza che ricordo con affetto». Pochi lo sanno, ma la giovinezza di Iacchetti è stata simile, per un certo periodo, a una puntata della fortunata serie diretta da Alberto Meroni, che si ripete ogni volta entro l’iconica cornice: il frontaliere si ferma in dogana, varca il confine per andare al lavoro, la sera lo riattraversa in senso contrario.

Di nuovo in Ticino

È la vita che fanno tutti i giorni 78 mila lavoratori con permesso G e Iacchetti la conosce bene - «hanno tutta la mia comprensione» - perché anche lui negli anni ‘70 è passato e ripassato dalla dogana (di Ponte Tresa) centinaia di volte diretto al lavoro. «Avevo trovato un posto presso una nota agenzia di viaggi del Luganese e mi trovavo molto bene, anche se l’ho sempre vissuto come un lavoro temporaneo» confessa il comico al telefono mentre in auto si avvia a sua volta verso il lavoro: è partito da Maccagno, dove abita, ma questa volta la destinazione non è il Ticino bensì uno dei suoi tanti spettacoli in giro per l’Italia. «Alla fine la mia strada mi ha portato altrove - dice - ma resto sempre molto affezionato alla Svizzera italiana, dove ho fatto tante cose anche in ambito artistico e continuo a tornarci quando posso».

La prossima «capatina» in Ticino Iacchetti la farà a fine mese proprio per le riprese del nuovo film firmato da Meroni (Frontaliers Sabotage, seguito dell’indimenticabile Frontaliers Disaster del 2017) dove impersonerà un presidente del Consiglio italiano, coinvolto in una diatriba internazionale scatenata dalla premiata coppia Bussenghi-Bernasconi (Sala-Guglielmoni). «Non posso dire molto - mette le mani avanti - a parte che sono felicissimo di partecipare assieme a professionisti che stimo e conosco da tempo, immergendomi nella realtà di confine che è poi la realtà da cui vengo e a cui rimango indissolubilmente legato».

Il ragioniere con la chitarra

Iacchetti è cresciuto a Luino e prima di diventare famoso come volto di Mediaset e co-conduttore di «Striscia la Notizia», con Ezio Greggio, ha lavorato a lungo come intrattenitore e musicista, in radio e locali, e prima ancora come ragioniere mentre faceva il cabarettista «a tempo perso». All’epoca dell’assunzione in Ticino il signor Enzino - nomignolo affibiatogli proprio da Greggio - aveva «da poco finito il militare e ancora le idee poco chiare su cosa fare nella vita» ricorda. Il diploma in ragioneria - «con il minimo dei voti», precisa - era stato una scelta «fatta controvoglia per soddisfare mio padre» assicura. «Io sognavo tutt’altro».

Milano, i cabaret, le luci del mitico club Derby che stava lanciando una generazione di nuovi comici, destinati a dominare le scene teatrali e televisive fino a tutt’oggi: Diego Abatantuono, Teo Teocoli, Paolo Rossi, Massimo Boldi, Claudio Bisio. Iacchetti assieme al fratello Mauro faceva già delle «scorribande» sotto la Madonnina appena poteva - «prendevo la chitarra e scappavo a Milano a fare festa» - ma nel frattempo non si era lasciato sfuggire «il lavoro in Svizzera» per «sbarcare il lunario, come si dice». Alla Globus Viaggi della famiglia Mantegazza «ci ero arrivato un po’ per caso, grazie al suggerimento di un’amica che ci lavorava. Mi disse che cercavano un ragioniere, mi candidai e mi presero».

«Ringrazio la Svizzera»

E così inizia il film personale di Iacchetti-frontalier: avanti e indietro dal Luinese a Stabio, dove la Globus aveva un distaccamento, e poi a Lugano in piazza Riforma e nel deposito dei pullman di Comano. «Ero lì in un ufficetto e tenevo tutto il giorno la contabilità dei chilometri percorsi dai torpedoni» ricorda. «Non era il lavoro della vita ma mi trovavo bene e lo facevo volentieri, per noi gente di frontiera il posto in Svizzera era una garanzia. L’ho fatto allora e lo rifarei: c’è il viaggio, certo, ma lo stipendio è molto più dignitoso che in Italia e capisco benissimo le tante persone che ancora oggi fanno questa scelta. È un problema per la fascia di confine, ma la colpa non è sicuramente loro».

Iacchetti si definisce un «uomo di lago» e in quanto tale migrante per forza. Ricorda Dario Fo, Massimo Boldi, Vittorio Sereni, Piero Chiara: «Tutti grandi personaggi della sponda lombarda del lago che hanno dovuto andarsene, per combinare qualcosa. Perché da noi c’era ben poco, a parte il teatro della parrocchia». Il ricordo della Svizzera però, precisa l’intrattenitore, è «decisamente positivo e pieno di gratitudine, nella mia famiglia mi hanno insegnato a essere grato a chi ti dà da lavorare» precisa. «Siamo stati trattati bene, a differenza di tanti migranti che vedo maltrattati in Italia e in altre parti del mondo».

Una radio sul fiume Tresa

Il «reimpatrio» di Iacchetti non fu forzato, ricorda il conduttore, ma arrivò per scelta dopo quattro anni di pendolarismo - dal 1972 al 1976 - in cui la vena artistica non si era affatto sopita, anzi emergeva a ogni occasione. «Alla fine ho dovuto scegliere» rievoca. «Il bivio era tra lavorare in Svizzera tutta la vita oppure seguire il cuore che mi portava ai cabaret». All’inizio Iacchetti non va molto lontano:si ferma a Lavena Ponte Tresa, a lavorare per una radio libera fondata nel 1978 (Radio Tresa) dove si fa le ossa come «one-man band» o quasi. «A un certo punto ero rimasto io da solo a fare anche sei voci contemporaneamente» sorride. «Ma la radio era ascoltatissima ed eravamo molto amati, soprattutto dai frontalieri che ci ascoltavano ogni mattina in auto, quando la finanza non ci sequestrava il ripetitore».

Era l’epoca delle emittenti «pirata» prima della liberalizzazione da parte della vicina Repubblica: periodicamente le trasmissioni di Radio Tresa «venivano interrotte dalle forze dell’ordine e puntualmente la mattina dopo eravamo di nuovo in onda - ricorda il comico. - Ci toccava salire di notte nei boschi che dominano il paese, e rimontare il trasmettitore alla bell’e meglio. Nonostante questo è stata un’esperienza bellissima: ricordo le donne del paese che a pranzo ci portavano la pastasciutta in studio, per solidarietà. Poi quando c’è stata la legalizzazione questa atmosfera di clandestinità è finita, e ci siamo stancati. È finita lì».

«Non è colpa dei permessi G»

Il resto è storia dello spettacolo italiano. Chiusa una porta si apre un portone: Iacchetti se ne va in cerca di fortuna, la trova. Dopo quarant’anni oggi è tornato a vivere sul Lago Maggiore, a Maccagno, per godersi la pensione «che qui è decisamente più tranquilla che a Milano». Nel frattempo i frontalieri sono saliti da 35 mila (nei primi anni ‘70) a più del doppio, e la fascia di confine è cambiata molto: «Basta fare un giro nell’ospedale di Luino per accorgersene. Ma anche in quello di Varese ormai c’è mancanza di personale». La colpa però «non è dei frontalieri ma semmai di chi ci governa». Parola di frontalier. Anzi, di presidente del Consiglio.

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