Fedele De Giovanetti, di Biasca, è sopravvissuto

Quando compi cent’anni cambia qualcosa. Viene a trovarti il sindaco, la stampa. Rispondi a un sacco di domande - se sei in grado - in parte esistenziali ma soprattutto alimentari.
Fedele De Giovanetti si trova in questa situazione da cinque giorni - è centenario da martedì 28 ottobre, lo certifica l’atto di nascita incorniciato in salotto - ma la cosa eccezionale non è il traguardo in sé. In Ticino, il cantone più longevo in Svizzera, vivono 170 centenari e saranno 900 tra un quarto di secolo (stima UST). La longevità sembra norma, l’immortalità (dicono Putin e Xi Jingpin) il futuro. A guardare De Giovanetti viene quasi da crederci.
«Il segreto del vivere a lungo è la tenacia e l’impegno. C’entra anche la fortuna, ma è relativa».
Nel giardino della sua villetta a Biasca la vigna è ingiallita e l’uva raccolta è già nei barattoli: la marmellata (buonissima) è fatta con le sue mani, anchilosate ma esperte. Il risotto a pranzo anche, come tutti i giorni. Vive da solo ed è «fondamentalmente autonomo» - parola del figlio Valerio - anche dal punto di vista medico. L’ultima volta che ha visto un dottore è stato tre anni fa, controlli di routine.
Soldato e partigiano
Forse esistono altri centenari - i genetisti li studiano come categoria a sé - con lo stesso eloquio coinvolgente, in italiano come in dialetto, la stessa lucidità. Senza contare il talento per il disegno (certi ritratti a matita, certe vedute di Biasca) e il bricolage (certi utensili in ferro che sembano comprati in un negozio). Ma la vera eccezionalità di De Giovanetti sono le cose che ricorda. E il fatto che è sopravvissuto per raccontarle.
Il centenario di Biasca è probabilmente l’ultima persona vivente in Ticino ad avere partecipato attivamente alla Seconda Guerra mondiale e - quasi certamente - l’unico ad avere vissuto la Resistenza italiana in modo attivo. Reclutato 18.enne in Valtellina dalla Repubblica di Salò - «per non essere fucilato» - disertò «durante una ronda notturna». Catturato e internato in Baviera - «in sei pranzavamo con un pezzo di pane» - viene mandato in prima linea in Irpinia contro gli Alleati. Un giorno una bomba uccide il suo compagno di guardia, a due passi da lui.
«Avrei potuto morire mille volte».
Diserta di nuovo - «in Liguria, attraverso un campo di grano, un vecchio contadino ci diede delle biciclette» - e tra mille peripezie torna in Valtellina e nella Resistenza . A Milano vede Mussolini in piazzale Loreto, il corpo di Claretta Petacci («gesto folle, sbagliato»). A guerra finita inizia la seconda vita - ne ha vissute almeno quattro - e arriva in Svizzera.
Dai monti alla Monteforno
Il racconto dell’immigrazione in Ticino in un’epoca in cui «non esistevano i centri di accoglienza» e toccava dormire «sul luogo di lavoro sotto una scala o in baracche di legno» è la conferma di come il passaggio, dalla società contadina a quella industriale, fu duro. Boscaiolo come i suoi padri- «i boscaioli qui erano tutti valtellinesi» - De Giovanetti diventa prima falegname, poi autista: per 100 franchi al mese. L’acciaieria da poco aperta a Bodio pagava «quattro volte tanto» e per entrare bisognava sgomitare.
«Era un lavoro ambito ma era anche pericoloso. Non voglio dire altro».
In realtà De Giovanetti ricorda i nomi e le facce dei colleghi alla Monteforno rimasti senza un braccio, una gamba, o addirittura morti nei forni - «ne tirarono fuori soltanto il cappello»- e anche se non ama parlarne, in fondo in fondo, anche da quella esperienza si considera un sopravvissuto.
«Le misure di sicurezza erano quello che erano, molti non le rispettavano. Anche io ho subito diversi infortuni: un po’ per prontezza, un po’ per fortuna, mi è andata sempre bene».
Il figlio Valerio ricorda le ferite al volto, alle braccia, e la «tosse nera» del padre. «Facevo sport per ripulirmi dell’aria inquinata che respiravo in fabbrica».
Un mondo cambiato
I lutti successivi, i tanti funerali di ex colleghi morti a distanza di anni - la «fabbrica dei tumori» venne soprannominata, anche se «il legame è difficile da dimostrare» - sono un altro argomento di cui De Giovanetti preferisce non parlare. È l’unico pensionato della Monteforno, per ora, a essere arrivato ai cento anni.
«Alla fabbrica e alla Svizzera io però sono grato».
Se ha attraversato il secolo scorso con tutti i suoi progressi, collettivi e individuali - la bici comprata con il primo stipendio, «per andare a Bodio da Malvaglia sei giorni su sette», poi la Vespa a rate, poi la Fiat 600 «e le vacanze al mare tutte le estati» - il merito non è solo suo. De Giovanetti ne riconosce i vantaggi, ma di quelli venuti dopo il televisore - computer, smartphone, ha sentito parlare anche dell’AI - non vuole sentir parlare .
«I tempi sono cambiati. A volte rimpiango quando c’era la povertà, l’analfabetismo, ma anche tanta umanità e attaccamento ai valori veri».
C’è da sperare che non sia questo il segreto della longevità. Altrimenti in futuro avremmo tutti vita breve.
