L'analisi

Gli Emiri tra calcio e guerre «per interposta persona»

Dallo Yemen al Sudan, dalla Libia a Gaza, le mosse di Abu Dhabi sullo scacchiere internazionale sono astute e complesse - Ma rischiano di creare un cortocircuito di alleanze (e d'immagine)
Guido Olimpio
16.11.2025 06:00

All’inizio della settimana un alto funzionario degli Emirati Arabi ha messo le mani avanti: senza garanzie sarà difficile partecipare alla Forza di stabilizzazione a Gaza. Una cautela comprensibile vista la situazione ma che contrasta con mosse ben più spericolate in altri scacchieri. Solo che, rispetto al conflitto israelo-palestinese, hanno minore copertura mediatica.

La federazione di sette mini-stati, ricca di petrolio e capitali, è diventata una piccola potenza che muove su più dimensioni. Dubai è la città degli affari, del divertimento, del lusso, dell’eccesso, dei soldi puliti o in nero, della bolla immobiliare. Ospita imprenditori e società, non dorme mai, è accogliente con chi ha idee ma anche nei confronti di esponenti del crimine organizzato che qui trovano una piattaforma formidabile per continuare a gestire i loro giri. In incognito oppure in modo normale perché spesso non sono disturbati, a patto che non combinino guai che coinvolgano l’onorabilità del «paradiso». Qui sono di casa migliaia di russi, dai ricconi a persone in cerca di avventure. Uno di loro, un truffatore, è stato fatto a pezzi insieme alla moglie perché aveva frodato degli investitori stranieri. Sempre russi i suoi aguzzini.

Abu Dhabi, invece, è meno caotica, ostenta meno - si fa per dire - e rappresenta il vero potere. Mohammed bin Zayed è il numero uno, la figura carismatica che ricopre la carica di presidente dell’intera federazione mentre i due suoi fratelli, Mansour e Thanoun, fanno da co-piloti. Si occupano sicurezza, criptovalute - insieme alla famiglia Trump -, di calcio - con la proprietà del Manchester City e del Palermo -, portano avanti progetti ambiziosi. Con orgoglio affermano di non avere limiti alle loro ambizioni e in questo coinvolgono gli altri «sceicchi». Basti ricordare il piano spaziale, con sonde lunari, astronauti e l’idea di stabilire in futuro una colonia su Marte.

In attesa di riuscirci si dedicano a missioni per allargare l’influenza. Lo abbiamo già raccontato qualche tempo fa descrivendo il loro ruolo in Sudan: appoggiano i ribelli dell’RFS, un patto legato dal comune interesse per l’oro e dalla voglia di avere una presenza nella parte nord del Mar Rosso. Gli Emirati hanno fornito armi d’ogni tipo e garantito addestramento, pare coinvolgendo i mercenari colombiani. Intenso il ponte aereo con carichi di materiale bellico.

L’intervento si lega a quello poco più a nord, in Cirenaica, dove sono sponsor del generale libico Khalifa Haftar, buon alleato per contrastare il governo di Tripoli, legato alla Turchia e al Qatar. Anche qui c’è una filiera robusta, costante. Nel vicino Egitto puntellano il generale al Sissi con massicci investimenti nel settore turistico e lo considerano un bastione contro la Fratellanza musulmana. Una visione comune «disturbata» però dal fatto che il Cairo, nella crisi sudanese, è dalla parte dei governativi ed è ostile alle milizie RFS. Questi sono giochi normali in relazioni fluide. Ancora più aggressiva è l’azione degli Emirati nella parte sud del Corno d’Africa. Finanziano una fazione yemenita anti-Houthi e questo gli ha portato in dote il controllo di isole strategiche nella porta meridionale del Ma r Rosso, a cominciare da Socotra, dove hanno creato avamposti. Stessa cosa nel nord della Somalia attraverso relazioni speciali con la regione autonoma del Puntland sottolineate da altre basi. Di nuovo è un episodio del duello con l’asse Qatar-Turchia che ha messo radici profonde a Mogadiscio.

Non vanno trascurate neppure le iniziative in diversi stati dell’Africa con l’acquisizione di terreni per la produzione agricola e altri programmi civili, iniziative in parallelo alla gestione di scali portuali ovunque vi sia l’opportunità. È stato appena annunciato che l’ente porto Dubai gestirà quello di Tartous, in Siria. Denaro e pragmatismo permettono agli emiri di mantenere legami forti con Usa, Russia e Cina. Diffidano dell’Iran, l’avversario storico, però negli ultimi tempi hanno smussato le tensioni: intanto i battelli continuano a fare la spola tra le due coste portando ogni genere di merce. Merce legittima e contrabbando, un sentiero che può essere usato anche dagli 007 per infiltrarsi nella Repubblica iraniana.

E per finire il soft power. Abu Dhabi ha già il Louvre e sta finendo una sede del Guggenheim mentre gli operai lavorano all’imponente museo nazionale e quello di storia naturale. Vogliono trasmettere un messaggio di coesistenza, di sviluppo universale, di fratellanza e poco importa se da altre parti finanziano la sedizione.

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