Società

Gli infermieri che brevettano in cantina

Fabrizio Morello e Alfio Perregrini hanno creato sette brevetti contro i traumi da incidenti stradali
© CdT/ Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
05.03.2023 14:17

Alfio e Fabrizio hanno visto decine di teste letteralmente rotte nella loro carriera. «Traumi cranici di ogni tipo, giovani anziani donne uomini». Lavorando in pronto soccorso ci si abitua, dicono. Quasi sempre incidenti stradali. Ma per gli infermieri non fa molta differenza. «Il nostro lavoro è salvare vite - spiegano - non c’è tempo di pensare al resto».

Finché una sera a cena, chiacchierando, capita di interrogarsi sull’origine del problema. «Avevo avuto un caso davvero strano, un motociclista in coma per un trauma cranico senza sanguinamento cerebrale» racconta Fabrizio. «Non riuscivo a darmi pace». Alla fine la radice di tutto è sempre la stessa, riflette : il casco. Prima di una testa rotta c’è sempre un casco rotto. Ma rotto come, e perché?

Il casco e la clessidra

Nelle settimane e mesi successivi i tre amici e colleghi - oltre ad Alfio Perregrini e Fabrizio Morello, Roberto Tordi, ingegnere clinico in Italia - si rompono a loro volta la testa in cerca di risposte e soluzioni. Passa il tempo e alla fine se ne escono con una prima idea: un casco a rottura controllata. Oggi mostrano con orgoglio il prototipo fatto in casa, nella cantina di Fabrizio a Losone. È fatto di polistirolo, una membrana composta di piccoli cuscinetti a forma di clessidra. Sembra ancora il giocattolo creato da tre amici che nella vita fanno tutt’altro, e decidono di darsi al bricolage.

Eppure proprio questo proto-casco è stato brevettato ufficialmente due anni fa, e la tecnologia è stata acquistata nientemeno che dalla multinazionale giapponese Shimano. Da poco il nuovo modello è stato messo in produzione e messo in vendita in tutto in mondo.

Come è possibile? «Ripensandoci siamo stati un po’ folli» racconta divertito Alfio davanti a un caffè in cucina, mentre Fabrizio esce dalla cameretta della figlia con in mano una clessidra-giocattolo. «È stata questa a darmi l’idea per la tecnologia. Le clessidre convergono al centro in un punto di facile rottura. Da qui siamo partiti». Presa in prestito la clessidra alla figlia, i due hanno comprato «diversi caschi da bici e moto» e hanno iniziato a smontarli con pazienza. «Roberto trovava le soluzioni tecniche, noi ci occupavamo della parte pratica». Il trio si completa a vicenda e forse proprio questa, spiegano, è stata la chiave del successo. «Ci conosciamo da più di vent’anni, siamo diversi ma tutti motivati e, quando uno aveva un momento di sconforto, gli altri lo tiravano su».

Dalla cantina alla Shimano

Dopo mesi febbrili di lavoro tra cantina e ospedale - Fabrizio alla Carità di Locarno e Alfio all’Italiano di Lugano: di mezzo c’e stata anche la pandemia - il prototipo imbottito di piccole clessidre di polistirolo è pronto e viene consegnato allo studio di brevetti Fiammenghi - Fiammenghi di Lugano. Il responsabile tecnico Fabio Pasquino si accorge subito del potenziale. «Era una soluzione semplice e geniale a un problema di grande portata» spiega l’ingegnere. «La maggior parte dei caschi da moto sul mercato sono concepiti per resistere il più possibile agli urti laterali senza rompersi. Questa tecnologia invece è pensata per dissipare al meglio l’energia generata dall’urto».

Gli inventori volevano un casco che si rompesse. «Ma che si rompesse dove volevamo noi, e come volevamo noi» precisano. Una volta depositato il brevetto l’ingegnere e i due infermieri, nati e cresciuti in Italia ma da diverso tempo residenti in Ticino, hanno girato la vicina Penisola e non solo in cerca di un acquirente. «In queste cose non basta avere una buona idea, ma serve anche tenacia e audacia e una certa faccia tosta» riflette Fabrizio. Riescono a ottenere un incontro alla Pininfarina, marchio iconico nella storia del design italiano. «In auto dal Ticino a Torino non ci siamo detti una parola. Un’emozione enorme. Non hanno comprato il brevetto, ma ne siamo usciti con un sacco di complimenti, consigli e contatti utili».

«Non ci fermeremo»

Questione di tempo e l’acquirente arriva: la Lazer Sport del gruppo Shimano. È solo il primo di una serie: i tre inventori investono il ricavato della vendita nella società creata nel frattempo, la Tibi Optima Sagl. Creano un casco da bici (venduto all’italiana Alpinestars) e depositano un secondo, un terzo brevetto e non si fermano più: il telaio di una bici, una suola, una ruota da e-bike, un para-schiena. «Siamo arrivati a sette brevetti finora», raccontano. «Tutti nascono da esigenze sanitarie di cui ci siamo accorti sul lavoro, in pronto soccorso e in neurochirurgia». La maggior parte delle problematiche, sintetizza Fabrizio, nascono da cadute in moto o da incidenti sul lavoro e in alcuni sport, come l’arrampicata o l’equitazione. «In questi ambiti le innovazioni tecnologiche che possono tutelare la salute delle persone sono ricercate continuamente dalle aziende».

Perché da un lato è vero: la stragrande maggioranza dei nuovi brevetti in Svizzera, oggigiorno, non vengono sviluppati in cantine o scantinati, ma nei laboratori di ricerca delle grandi aziende (il record assoluto è di Roche, 10.761 brevetti tra il 2008 e il 2021). Con la pandemia le innovazioni registrate in Ticino sono aumentate (vedi box) soprattutto nel settore farmaceutico, medico e chimico. Eppure sono aumentati anche gli inventori della porta accanto. Persone normalissime: Morello e Perregrini continuano a lavorare in ospedale, alle prese con gli effetti a volte tragici di tecnologie non ancora perfette. Ma sono la prova che le buone idee in tempo di crisi non conoscono quartiere e tutto diventa possibile. Anche che il casco da moto che proteggerà la testa di vostro figlio, perché no, sia nato nella cantina del vostro vicino di casa, a Losone.    

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