«Ho paura di morire, aiutatemi»
Alla fine sarà il giudice a decidere. Ma intanto il caso di B.M., una professionista in pensione che ha presentato diverse denunce contro l’ex marito (sono separati), sta diventando il simbolo di un sistema farraginoso, con provvedimenti che tardano ad arrivare. Un caso che fa affiorare tutti i limiti attuali della legge contro la violenza domestica, che frena l’attività della Polizia e rallenta quella del Ministero pubblico.
Un passo indietro
Per capire cosa è accaduto bisogna tornare indietro nel tempo. Nel novembre del 2019 B.M. chiede il divorzio. Estenuata da anni «di maltrattamenti, denunce, soprusi, silenzi e vergogna», sostiene. Il marito, un medico, nel 2012 ha dovuto abbandonare il suo paese di origine, l’Italia, perché non poteva più esercitare la professione: «È stato radiato dall’ordine», sostiene la vittima. E così la decisione di trasferirsi in Svizzera. Dove - nonostante i gravi precedenti giudiziari - il medico italiano ha subito trovato lavoro. Ma dall’anno in cui è entrato nel Paese ad oggi, ha cambiato otto posti di lavoro. Il motivo? Sembrerebbe - sempre secondo la versione dell’ex moglie - comportamenti aggressivi e molestie nei confronti di colleghi e pazienti.
A sommarsi alle denunce di B.M. per violenza domestica e mancati pagamenti del mantenimento, ci sarebbero quindi, anche in Svizzera (a Friburgo), quelle per molestie sul posto di lavoro. Ma continua a esercitare, ora nella telemedicina, la sua professione. Da una città all’altra, in vari cantoni.
Dopo 10 giorni, tutto torna come prima
Dopo la prima assistenza ricevuta da parte della LAV (il servizio cantonale di aiuto alle vittime di reati) nel 2019, B.M si trova costretta a ritornare in casa. Non può permettersi di rimanere presso una Casa Protetta, che dopo i primi 30 gioni non è piu un servizio gratuito, è lui l’intestatario del loro conto bancario.
Ma le violenze si susseguono, e per quanto la Polizia sia allertata, non può intervenire concretamente: l’allontanamento del coniuge violento previsto dalla Legge - e questo è il primo limite - è di soli 10 giorni. Poi tutto è tornato come prima. Il tempo è passato, le violenze sono continuate, fino a quando il medico ha cambiato nuovamente posto di lavoro, e anche Cantone di residenza.
E il divorzio non arriva: «Si dà malato»
Intanto sono diventati 24 i rinvii dell’udienza per decretare il divorzio da parte del Pretore. Il motivo? L’imputato, l’ex marito da cui la donna è separata, non si presenta, non invia i documenti richiesti, non versa il mantenimento «provvisorio» concordato. Non si fa trovare, o meglio, lo fa, sporadicamente.
Ma non è finita qui. «Negli ultimi tre mesi ho presentato altre tre denunce penali», che tuttavia non sono ancora arrivate al magistrato. Il motivo? La procedura prevista dalla legge parla chiaro: una volta depositata la denuncia, la Polizia interpella l’accusato per l’interrogatorio. Se quest’ultimo non si presenta, come in questo caso, inviando dei certificati medici che «garantiscono» l’impossibilità a recarsi presso la sede centrale di Lugano, la Polizia è obbligata a chiamarlo una seconda volta e una terza ancora. Dopodiché la documentazione viene spedita al Pretore, che dovrebbe a questo punto prendere una decisione. Tuttavia, nonostante i certificati medici presentati, secondo la vittima, l’uomo si sarebbe aggirato nei pressi dell’abitazione dove vive l’ex moglie negli stessi giorni in cui era stato chiamato dalla Polizia per l’interrogatorio.
«Ho paura di morire, aiutatemi»
Tra le ultime due denunce una è ancora per aggressione. A giugno l’imputato si è presentato con il suo avvocato presso lo studio del legale della vittima, per trovare un accordo per il divorzio. In quell’occasione non solo l’accordo non è stato trovato, ma l’imputato avrebbe aggredito l’ex moglie davanti ai due avvocati e alle loro segretarie, sferrandole un pugno sull’avambraccio. L’avvocato dell’imputato «non ha visto niente» dice la donna, mentre quello della vittima ha testimoniato. Ma da giugno ad oggi il Ministero Pubblico non ha ancora ricevuto nulla. I tempi sono infinitamente lunghi e B.M. è estenuata. «Sono terrorizzata, questa ulteriore aggressione rimasta impunita mi fa temere per la mia vita. Deve esserci un femminicidio perché ci sia giustizia?»