Editoria

«Ho un palato del 1900 ma non ho nostalgia dei tempi passati»

Erri De Luca, scrittore e poeta sull'ultimo suo libro scritto e dedicato alla tavola e al cibo
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
01.05.2022 11:00

«Il cibo ha una storia tragica, miracolosa, atroce». Una storia che Erri De Luca, scrittore e poeta napoletano, ha impresso con il suo stile asciutto e al tempo stesso profondo nel suo ultimo libro Spizzichi e bocconi, appena pubblicato da Feltrinelli. Non un libro di cucina, però, si affretta a precisare l’autore. Perchè «narra di tavole - dice De Luca alla Domenica - il più bel mobile dell’arredamento della casa».

Tavole e non ricette, quindi. Anche se qua e là a emergere sono il ragù, la pastiera, i friarielli... I detrattori potrebbero affermare che pubblicare un libro sul cibo significa confidare in vendite sicure, visto che i libri sulla cucina vanno sempre per la maggiore...
«Per parlare di un libro serve leggerlo. Questo non è un libro di cucina, non si cimenta con fornelli».

È però vero che il libro si avvale anche dei contributi del al nutrizionista Valerio Galasso.
«L’idea di questo libro mi è venuta dall’incontro con Valerio Galasso, giovane biologo nutrizionista, a Ischia l’estate scorsa. Parlammo di cibi e di storie. C’era Paola Porrini Bisson, presidente della fondazione che porta il mio nome, fu lei a dirci che dovevamo mettere mano a un libro a due».

Non aveva forse abbastanza «fiducia» nelle sue storie?
«Dalle prime risposte di chi ha letto il libro sento che i miei ricordi alimentari suscitano quelli personali di chi legge. Il che è un effetto simpatico e imprevisto. I commenti di Valerio Galasso valgono per me un tesoro di informazioni e di spiegazioni che ho voluto condividere. Credo che siano sia utili e urgenti».

Il mio palato è del 1900, le mie papille sono state avviate a poche pietanze e gusti

Nel libro afferma di avere un palato del 1900. Allora perché scrivere nel 2022 un libro su un rapporto novecentesco con il cibo?
«Il mio palato è del 1900, le mie papille sono state avviate a poche pietanze e gusti. Oggi l’offerta è molteplice, ma io resto uno che distingue il buono dal cattivo con poche sfumature in mezzo. Le mie storie provengono da ricordi e tra questi ci sono tavole passate, sapori e odori impressi come timbri».

In alcuni passaggi del libro si ricava l’impressione che il suo rapporto con il cibo si sia consolidato durante l’infanzia. Ritornare a quei momenti è forse un modo per tornare alle sue origini?
«Nell’infanzia si piantano impressioni definitive. Nella mucosa del naso c’è un archivio di odori che sollecitati trasmettono presenze, occasioni trascorse, voci».

Lei sceglie di parlare di cibo parlando anche di fame, una piaga che oggi sconvolge ancora continenti e popolazioni povere. Una scelta intrapresa anche per questo motivo?
«Non è un libro a tarallucci e vino, il cibo ha una storia tragica, miracolosa, atroce. Oggi possiamo dire con lo stesso significato: ho fame, ho appetito. È un privilegio recente. La fame ha perseguitato la specie umana, l’ha costretta a guerre e migrazioni. Sono di un tempo in cui si distingueva aspramente tra appetito e fame».

Lei afferma che oggi ci si siede a tavola per convivialità, non per appetito. Ma è per forza un male avere i mezzi per apprezzare la ricercatezza di alcune pietanze o aver fortuna di poter scoprire ad esempio cibi di altre culture?
«È un gran bene, uno dei grandi traguardi del progresso umano, insieme alla medicina e all’aumento dell’età media in termini di decenni rispetto a un secolo fa. Le varietà di cibi portati da nuovi residenti migliora l’alimentazione e la comprensione tra culture. Non ho nessuna nostalgia per le scarsità del mio passato».

Le varietà di cibi portati da nuovi residenti migliora l'alimentazione e la comprensione tra culture