I «furbetti» delle pompe funebri in Ticino

Di certo, dice l’adagio, c’è solo la morte. Per tutto il resto una soluzione si trova. In Ticino dal 2015 sono state introdotte regole più stringenti sulle onoranze funebri e una parte del settore ha poco da festeggiare, da allora, anche quando è la Festa dei Morti.
«La nuova legge ha degli aspetti positivi, ma anche qualche aspetto negativo».
Tommaso Brescia, 50 anni, è titolare di un’azienda di pompe funebri del Luganese. L’ha acquistata nel 2016 e da allora vive in una sorta di limbo. «Ho dovuto adeguarmi» spiega.
Si diplomi chi può
La cosiddetta «legge Sanvido» - dal deputato della Lega Paolo Sanvido, appartenente a una famiglia di impresari di pompe funebri del Luganese, che promosse la riforma - nel 2015 ha introdotto nuovi criteri per il settore e l’obbligo di possedere un attestato federale di capacità per gli impresari.
Brescia ha fatto di tutto per ottenerlo. «Ho seguito corsi all’estero, ovunque, ho fatto valere i miei trent’anni di attività nel settore». Niente: tra i requisiti per accedere all’esame federale (prezzo: 5mila franchi) c’è quello di avere un precedente attestato Afc. Brescia ha dovuto trovare una scappatoia.
«Mio figlio, che lavora con me, ha dovuto andarsene per tre anni a fare l’apprendista nella logistica, presso un’altra azienda, soltanto per avere il pezzo di carta» lamenta Brescia. «Ora finalmente ha potuto iscriversi al corso per impresario di onoranze funebri, e tra due anni se tutto va bene avrà il diploma. Diventerà lui il titolare».
Sanatoria per tutti
Si potrà obiettare sul fatto che a un professionista con un’esperienza lunga una vita alle spalle non venga riconosciuto il diritto - «non lo trovo giusto, ma non mi lamento» - di accedere a un esame. Ma i problemi nel settore sono ben altri. La legge ha esentato dai nuovi obblighi gli operatori già attivi in Ticino prima del 2015 - le «storiche» ditte di onorenze funebri - e a dieci anni dall’entrata in vigore la stragrande maggioranza delle imprese operano ancora «in sanatoria». Alcuni invece si ritrovano di fatto fuori norma, per scelta o costrizione.
«Di fatto il nuovo sistema è un ostacolo alla concorrenza» lamenta un altro impresario del Luganese titolare di un’agenzia rilevata, di recente, da vecchi proprietari nel frattempo deceduti. Non è in possesso di un attestato federale: per questo motivo, in base alla legge, sarebbe tenuto ad affidare la gerenza a qualcuno che lo possieda. Ma non lo ha fatto.
«Ho una licenza ad esercitare e lavoro da una vita in questo settore, sono in regola» sostiene. «Sono altre le aziende che non lavorano in regola, e sappiamo tutti quali sono».
Uno su 47
Le voci su chi «non ha fatto i compiti» volano come a scuola e le accuse anche gravi - «dovrebbero togliergli la licenza, dovrebbero vietargli di operare» - rischiano di ingigantire l’oggetto del contendere : quattro giorni di lezioni, nell’arco di due anni, e un esame pratico-teorico non certo di livello universitario. Se l’intento della riforma era - e lo era - professionalizzare il settore e potenziare la formazione, l’obiettivo non si può dire raggiunto. Dei titolari delle 47 ditte di onoranze funebri iscritte all’albo in Ticino, a oggi, soltanto uno ha conseguito l’ambito diploma dopo il 2015. Altri quattro lo avevano conseguito prima di quella data. Per tutti gli altri (42 in totale) non è cambiato niente, se non il fatto di dovere trovare spesso delle scappatoie per continuare a operare.
Come al ristorante
«C’è effettivamente un problema, una lentezza nell’adeguamento dovuta a fattori oggettivi» ammette il presidente dell’Associazione ticinese degli impresari di onoranze funebri (Atiof) Emiliano Delmenico, lui stesso non in possesso dell’attestato federale. Lavora nell’impresa di famiglia da quarant’anni - «penso di avere accumulato un po’ di esperienza» - e quindi non è tenuto alla formazione, tuttavia «è capitato anche a me di avere delle contestazioni, quando ho rilevato delle nuove attività, ho dovuto assumere anche io un gerente che avesse l’attestato». Un escamotage diffuso anche in altri settori, ad esempio quello della ristorazione, e su cui il Cantone conduce controlli serrati.
La polizia mortuaria
A occuparsi delle verifiche è la cosiddetta Polizia Mortuaria, a cui compete vigilare sul rispetto delle norme igienico-sanitarie ma anche sugli adempimenti legali da parte delle ditte di pompe funebri. Non bisogna immaginarsi un vero corpo di polizia: di fatto, il complito è delegato a due soli ispettori dell’Ufficio di sanità, tra l’altro a tempo parziale.
Nei casi in cui avvengono dei passaggi di proprietà (delle aziende di onoranze funebri, ndr.) l’Ufficio di sanità richiede «sistematicamente» alle imprese di adeguarsi a quanto richiesto dal regolamento. «A volte possono capitare delle omissioni» fa sapere l’ispettore del servizio igiene dell’Ufficio di sanità, Fausto Rossi. «Le imprese sono tenute a comunicarci tempestivamente qualsiasi modifica intervenga nel loro assetto, ma non sempre ciò avviene in modo spontaneo» spiega Rossi. «In questo caso le aziende operano in violazione del regolamento e vanno incontro a potenziali sanzioni».
Le «dimenticanze» possono riguardare aspetti secondari come il carro funebre - ogni azienda è tenuta ad averne almeno uno, anche se per ragioni di risparmio non sarebbero infrequenti forme di prestito o «sharing» di un unico mezzo, magari di lusso, tra più ditte - ma anche aspetti più di sostanza. Può capitare, ad esempio, che il decesso di un impresario non venga comunicato e le imprese continuino a operare «come se fosse vivo» finché non vengono richiamate all’ordine dal Cantone.
Quando muore l’impresario
È emblematico il caso di una ditta del Luganese ilcui storico proprietario è deceduto nel 2019. A quel punto a registro di commercio subentra la vedova: è sprovvista del diploma federale, e non ha intenzione di rimediare alla lacuna. Quattro anni dopo (giusto prima dello scadere del periodo «cuscinetto» previsto dalla legge) la ditta viene venduta a un altro imprenditore, anch’egli sprovvisto di diploma. Risultato: da due anni l’azienda opera di fatto con un’autorizzazione scaduta.
Un’altra ditta, questa volta individuale, avrebbe continuato a operare per tredici anni dopo il decesso del titolare, gestita dalla vedova di questi (sprovvista di diploma). Alla morte di lei, nel 2025, l’attività viene rilevata da un impresario (anche lui senza diploma) dopo avere operato per dieci anni in una zona grigia. Per il nuovo proprietario, già alla soglia della pensione, intraprendere il percorso di formazione federale non sembra un’opzione verosimile.
Gerenti di facciata
Un’altra opzione - o scorciatoia - è quella di assumere un dipendente o, come detto, un «gerente» che sia provvisto dell’agognato diploma. L’escamotage sta prendendo piede, con diplomati che figurerebbero come gerenti «di facciata» per diverse società con improbabili contratti part-time. Alcuni casi sono sotto la lente del Cantone. «Le normative prevedono che il titolare dell’impresa o, nel caso di persone giuridiche, chi è responsabile della società, sia in possesso del diploma» conferma Fausto Rossi. Per arginare il fenomeno, l’Ufficio di sanità verifica pertanto che «i titolari del diploma federale figurino a registro di commercio con diritto di firma » spiegano da Bellinzona. Alcune contestazioni al riguardo sono «attualmente oggetto di esame da parte del nostro servizio giuridico».
Un «trapasso» difficile
Secondo molti l’impasse era da mettere in conto: era insita nel carattere della legge, che ha posticipato alcuni aspetti critici al momento del cambio generazionale. Ma non si può posticipare in eterno. «La vecchia generazione degli impresari sta cedendo il passo a una nuova generazione, e i nodi vengono al pettine» osserva Delmenico. «Sappiamo tutti che alcune aziende continuano a lavorare pur non adempiendo ai nuovi requisiti» ammette il presidente dell’Atiof.
Anche per chi adempie ai requisiti per accedere al diploma, gli ostacoli non sono finiti. C’è quello della lingua. I corsi si tengono in Svizzera interna in francese o tedesco. «In dieci anni si è tenuto un solo corso in italiano» sottolinea Delmenico. Il «trapasso» alla nuova regolamentazione, insomma, richiede fatica e tempo e in alcuni casi non è per niente indolore.
