Isone

I ticinesi che si addestrano per il Papa

Dopo due anni di assenza, tra le reclute delle Guardie Pontificie c'è di nuovo un po' di Svizzera italiana – Le storie di Gabriele Scaffetta e Giacomo Porcini
© CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
25.02.2024 16:15

Nella caserma di Isone, alla quarta settimana la stanchezza inizia a farsi sentire. I ragazzi tornano in camerata indolenziti, dopo giornate di scontri sul ring e prove di tiro, che iniziano all’aria frizzante dell’alba. Pochi hanno voglia di fare festa, la sera.

Gabriele Scaffetta ha un’aria da intellettuale ma la nocca della mano destra sbucciata come un pugile. Dopo il liceo a Locarno ha deciso di prendersi una pausa dagli studi: all’università farà Storia - «la mia passione» - ma per ora ha un obiettivo più concreto, e spirituale al tempo stesso. Perfezionare il corpo a corpo. Così potrà superare la prova fisica a inizio marzo, e riempire un «vuoto di italianità» che da qualche tempo affligge la Guardia Svizzera.

Era da due anni che nessun ticinese entrava nel corpo armato del Pontefice. La formazione delle nuove reclute - per la parte svizzera - viene tenuta in Ticino dal 2016, in forza di una convenzione tra Vaticano e Polizia cantonale: nonostante questo, i candidati dalla Svizzera italiana sono una rarità. L’ultimo è stato Vincenzo Giglio di Quartino: ha prestato giuramento in Vaticano nell’aprile 2022, ed era l’unico italofono su 36.

La questione della lingua

La mancanza non è una novità, a dire il vero. Sebbene i ticinesi presso la Santa Sede siano oggi una minoranza - una decina quelli attualmente in servizio, su 135 alabardieri - storicamente il vuoto è stato ancor più cospicuo: fino al Novecento la Guardia non ammetteva, di norma, reclute dalla Svizzera italiana proprio per una «questione di lingua». Si volevano evitare i contatti tra i militi del Papa e la popolazione locale. «Dal Ticino la si può vedere come una sorta di penalizzazione» osserva - da aspirante storico - la recluta Scaffetta.

Scaffetta durante l'allenamento corpo a corpo
Scaffetta durante l'allenamento corpo a corpo

A colmare la lacuna, dopo quattro cicli di formazione in cui gli unici a parlare italiano erano gli istruttori della Polizia cantonale - paradossalmente, proprio il fattore linguistico è oggi uno dei «punti di forza» su cui fa leva la formazione a Isone - a gennaio è arrivato anche Giacomo Porcini, 23enne di Carona. È stato inserito in un gruppo diverso da Scaffetta, cosa che facilita l’apprendimento collettivo della lingua.

Una dura selezione

«Fermo, Guardia Svizzera!». Porcini grida con la pistola puntata verso l’auto. Sul piazzale del Comando della Polizia cantonale a Bellinzona si sta svolgendo l’esercitazione nel «controllo di veicoli». Il luganese tiene sotto tiro il finto automobilista, che con le mani in alto si accascia sull’asfalto - «palmi verso il cielo!» - mentre un collega procede a perquisire la macchina.

La gestione delle emergenze fa parte dei compiti meno visibili delle Guardie Svizzere, che di fatto «ricevono una formazione di tipo militare e sono un corpo armato a tutti gli effetti» spiega il caporale istruttore René Stöckli (in perfetto italiano). Argoviese, vive a Roma da otto anni ed è la prova di come l’esperienza può superare le aspettative delle reclute (il cui tempo di permanenza minimo in Vaticano è due anni). «Molti pensano che il nostro mestiere consista principalmente nel servizio d’onore, ma non è così» spiega Stöckli. «Svolgiamo compiti di scorta e sorveglianza ad ampio raggio, in un contesto internazionale. Di fatto il corpo offre prospettive di carriera e formazione continua, oltre che di vedere il mondo e vivere in un contesto senza eguali».

Un momento dell'addestramento alla centrale della Polizia cantonale a Bellinzona
Un momento dell'addestramento alla centrale della Polizia cantonale a Bellinzona

Attirare sempre nuovi giovani è una sfida che richiede anche un lavoro «d’immagine», le Guardie ne sono consapevoli. «Oggi per le nuove generazioni la Fede non è più un motore trainante» conferma Porcini, che alle spalle ha un apprendistato da muratore e anni di lavoro nei cantieri. «Nella mia parrocchia, da tempo sono l’unico giovane a frequentare con assiduità - racconta -. Il mio lavoro non mi dispiaceva, ma a un certo punto ho sentito che dovevo fare qualcosa di diverso».

Una missione «spirituale»

La «vocazione» è un fattore decisivo, come in qualsiasi processo di selezione: ma quello di Guardia Pontificia non è un mestiere qualunque. Dopo essersi candidati, Porcini e Scaffetta hanno sostenuto un colloquio psicologico a Glarona - «due ore e mezza, non una passeggiata» - e poi un secondo colloquio a Zurigo, nel quartier generale svizzero. Superata la scrematura hanno affrontato la prima formazione in Vaticano, dove hanno studiato «la storia e la geografia» del Palazzo Apostolico, le persone da conoscere e proteggere - «vescovi, cardinali, prelati e assistenti» - e anche storia dell’arte e liturgia. Su 18 reclute iniziali - oltre ai due ticinesi, cinque friburghesi, tre vallesani e otto provenienti da altri cantoni, di cui sei svizzero-tedeschi - solo una si è ritirata finora per motivi personali.

«Il percorso è faticoso ma anche molto appassionante» spiega lo «storico» Scaffetta dopo aver preso a calci e pugni un compagno, protetto da imbottiture come un «pungiball», nella palestra del Centro di formazione della Polizia a Giubiasco. I compagni si susseguono alla prova di atterramento e immobilizzazione con un’energia - all’apparenza - tutt’altro che clericale. «In realtà per me questo è uno dei più alti servizi cui si possa aspirare» dice Scaffetta osservando la scena con sguardo compiaciuto. Si sente «cristiano prima che soldato» e nella Guardia vede una forma di testimonianza: dice che è «il modo migliore con cui rispondere alla crisi religiosa della nostra società». Poi si rimette i guanti, e si prepara a tornare sul ring.

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