Il reportage

I ticinesi che vivono sopra il confine (letteralmente)

Da Fornasette a Chiasso, la frontiera con l'Italia attraversa abitazioni, ristoranti, un orto e una vigna - Abbiamo provato a seguirla
Fornasette, Manuela Colombo seduta sopra il cippo nel giardino di casa sua © CdT/ Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
23.11.2025 06:00

La rete si confonde nella vegetazione. Dove era il buco, adesso c’è un cancelletto nuovo di pacca. Oltre la ramina si vede la dépendance: una vecchia cascina riattata di recente.

«Non vedo dove sia il problema».

La proprietaria di quella che fu la dogana di Termine, nel Malcantone, è oggi una signora svizzero-tedesca, molto gentile. Indica con orgoglio la vecchia scritta («dogana svizzera, Termine») che campeggia sulla facciata di casa sua. La ramina passa a un metro dalla porta, ma il cancelletto permette di attraversarla per andare nella «casa degli ospiti». In Italia.

«Abbiamo semplicemente messo un cancello dove prima c’era un buco» dice. La differenza è che il cancello è chiuso (la chiave ce l’ha lei) mentre il buco era aperto a tutti.

Il cancello nella ramina a Termine
Il cancello nella ramina a Termine

«Abbiamo riparato una rete usurata. Non abbiamo fatto niente di illegale: nichts Illegales».

In realtà, di situazioni al limite - al confine - della legalità la storia della frontiera tra Ticino e Italia è piena: dai tempi dei contrabbandieri a quelli delle foto satellitari, le misurazioni al millimetro che in teoria non lasciano spazio al dubbio. In pratica, non è difficile imbattersi in incongruenze e zone grigie.

Il confine si allunga

Le anomalie incominciano dall’oggetto stesso del contendere: il confine. Stando alle ultime stime pubblicate dall’Ufficio del Catasto, i confini ticinesi misurano 364 chilometri dal Pizzo Valdraus a Pedrinate. Nel 2018 erano 351. Dal 2015 a oggi il confine con l’Italia, in particolare, è diventato più lungo di dieci chilometri. Quello con il Vallese in compenso è diminuto di due.

Possibile? Le divergenze tra le rilevazioni effettuate a distanza di 3-4 anni dal Cantone sono dovute a progressi scientifici: «L’ultima misurazione si è basata su dati di precisione centimetrica, mentre prima l’approssimazione era nell’ordine dei metri» spiegano dal DFE. Più le carte diventano precise più la frontiera si allunga: invece le certezze diminuiscono quanto più da vicino si osservano le vicende di chi sul confine ci vive.

Mangiare in Italia, pagare in Svizzera

Nei suoi 218 chilometri di lunghezza - dieci anni fa erano 208 - la frontiera tra Ticino e Italia attraversa centri abitati, proprietà private, addirittura singole abitazioni e ristoranti. Le stranezze balzano all’occhio già su Google Maps, meglio ancora con un drone.

Il viaggio della Domenica comincia da Fornasette. Pranzo all’osteria Internazionale, tra i tavolini all’aperto che, lo dice il cippo di pietra posizionato sulla strada, sono divisi tra due Stati: «Mangiamo in Italia ma la cassa per pagare è in Svizzera, purtroppo» scherza un operaio in pausa pranzo. Il titolare Nunzio Fortuna, 59 anni, assicura che non cambia nulla. Si è informato con GastroTicino: «Anche se i tavoli sono su suolo italiano, vale la giurisdizione svizzera sulla somministrazione di alimenti e bevande».

Il confine a Fornasette sfiora un capannone industriale, attraversa il ristorante e sale verso nord: diritto come un confine americano o africano, tracciato a tavolino. S’insinua tra la casa della famiglia Govi e la "loro" cascina utilizzata per generazioni come stalla. Cinque metri di distanza, due paesi diversi.

Testimonianza/1

«A un certo punto sono saliti dei funzionari da Roma - ricorda Franco Govi, 82 anni - . Hanno spostato la ramina e ci hanno tolto la stalla».

La vicenda risale a 40 anni fa ma la ferita è ancora fresca. Una diatriba di vicinato, un contadino italiano si appropriò per «uso capione» della cascina: oggi non è più proprietà di Govi.

«Per legge in Italia chi usufruisce di fatto di un immobile per oltre vent’anni ne diventa proprietario. E la stalla purtroppo sottosta alla legge italiana».

Il recinto dell’asino

Barbara Marazzi, 42 anni, può invece lasciare l’auto sul versante italiano del confine, che sfiora casa sua, grazie a una soluzione di compromesso: la ramina fa il giro largo, lei posteggia nell’interstizio. In un certo senso si sdebita dando da mangiare a un asinello italiano (Pedro) che vive oltre confine ma è diventato praticamente uno di casa.

«Qui la ramina come in altri punti era molto danneggiata - dice -. È stata messa a posto dal padrone dell’asino, a spese sue, per evitare che l’asino sconfinasse».

Barbara Marazzi con l'asinello Pedro (foto Cdt)
Barbara Marazzi con l'asinello Pedro (foto Cdt)

Un recinto più che una ramina. Lo stato delle recinzioni installate nel corso dei decenni - per lo più nel secondo Dopoguerra - dalle autorità italiane è da tempo oggetto di contese non solo di vicinato, ma politiche. A marzo di quest’anno il consigliere nazionale Piero Marchesi (UDC) ha sollecitato a Berna un intervento di ripristino, o manutenzione.

«Le condizioni della ramina nel Malcantone e nel Mendrisiotto sono tali da non costituire in alcun modo una protezione dalla criminalità transfrontaliera» sottolinea il sindaco di Monteggio. «Il governo dovrebbe fare qualcosa».

Negli ultimi anni il cosiddetto «confine verde» è stato attraversato da bande dedite ai furti nelle abitazioni. Prima ancora dalle rotte dei passatori e dei migranti, dalla Svizzera all’Italia. Ma la rete metallica è stata concepita, in realtà, per contrastare il traffico in senso inverso dei contrabbandieri, che hanno prosperato su entrambi i lati del confine fino agli anni ‘70.

Testimonianza/2

«Ricordo che confezionavo con le mie mani i sacchi con le sigarette da contrabbandare, ero ancora una bambina» racconta Manuela Colombo, 55 anni di Monteggio, professione impiegata. «Mio padre aveva messo su un magazzino e le portava con un canotto attraverso il fiume, aveva anche assunto due operai».

Le zucchine italiane

Nel Mendrisiotto il confine è ancora più incontrollabile e imprevedibile. Attraversa addirittura un’abitazione a Maslianico, in via Matteotti - fino al 1940 sul tetto svettava una rete posata dalla Guardia di Finanza - poi scende alla Breggia e segue il fiume. Dopo la dogana di Chiasso si piega di nuovo, incurante, taglia a metà il giardino di un condominio in via Favre.

«Abbiamo sempre coltivato l’orto qui senza troppo preoccuparci che il terreno fosse in realtà italiano - racconta un inquilino ultra 80.enne -. Di fatto dal punto di vista amministrativo siamo in una zona grigia. È terra di nessuno, ma le zucchine crescono buone come in qualsiasi altro posto».

La «zona grigia» non è un concetto giuridico ma esiste de facto, tra il confine invisibile tracciato sulle carte (e dai cippi) e quello visibile - ancorché sgangerato - rappresentato dalla rete metallica.

Al lavoro nell'orto del condominio di via Favre (foto Cdt)
Al lavoro nell'orto del condominio di via Favre (foto Cdt)

Risalendo i boschi di Pedrinate si arriva alla Locanda degli Eventi, geograficamente svizzera ma in realtà italiana - anche il numero di telefono - e circondata dalla rete metallica su più lati, come un avamposto fortificato. Il proprietario - un ex contrabbandiere convertito a ristoratore - balzò agli onori delle cronache nel 2016, quando aprì dei buchi nella ramina per facilitare l’ingresso dei clienti svizzeri. Oggi sono stati chiusi e dalla locanda si limitano al «no comment».

«Il confine è una cosa astratta ma bisogna pur sempre farci i conti» riassume Rolf Homberger. Dirige la Cantina sociale di Mendrisio, che possiede un vigneto attraversato dal confine a Stabio in località Bella Cima. Metà dei filari si trovano in Italia, e l’uva che producono viene puntualmente sdoganata. «La documentazione e gli importi da pagare - dice Homberger - non sono per niente astratti».

L’USDC vigila

A pesare l’uva di Stabio e a vigilare su queste e chissà quante altre anomalie di frontiera è l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC). I controlli sono mobili, vengono «basati sui rischi» e verranno in futuro intensificati: almeno così si legge nella risposta del Consiglio Federale all’interpellanza di Marchesi. Il governo però non vede «nessun vantaggio» nel realizzare nuove reti.

In tutto ciò, costruire un cancelletto nella ramina e farsi la dépendence oltre confine sembra essere davvero l’ultimo dei problemi. L’UDSC, contattato a suo tempo dal Municipio di Monteggio, ha spiegato che l’area della ex dogana di Termine è sorvegliata con telecamere e sotto controllo. La vecchia rete del resto è in Italia, non in Svizzera.

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