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Il Bürgenstock è mezzo pieno o mezzo vuoto?

Sono 60 su 160, finora, i Paesi che hanno accettato l'invito di Berna – Gli scenari della conferenza di pace, analizzati da due esperti
Davide Illarietti
19.05.2024 09:29

Manca ormai poco meno di un mese e al Bürgenstock fervono i preparativi. Alberghieri e - soprattutto - diplomatici. A che punto siamo? Della lista di oltre 160 paesi invitati da Berna, più di un terzo hanno già risposto presente. Sono «oltre 60» i governanti che hanno confermato la partecipazione, fanno sapere dal Dipartimento federale degli affari esteri. Metà delle conferme sono arrivate da paesi europei, le altre dal resto del mondo.

L’elenco completo sarà disponibile solo alla vigilia dell’evento: per ora comprende soprattutto paesi membri della Nato (Germania, Italia, Canada, Spagna, Polonia) e neo-membri (Finlandia, Svezia) ma anche Stati esterni (Moldova, Capo Verde) e organizzazioni sovranazionali (Ue, Consiglio d’Europa). All’appello ufficiale mancano ancora gli Stati Uniti - la presenza di Biden è data per probabile, ma non certa - e naturalmente la Russia, non invitata, la cui assenza è vista da alcuni come un’ipoteca sugli effetti concreti del meeting.

Non è l’unica possibile: se l’adesione del francese Macron e dell’inglese Sunak tarda ad arrivare (ma pare scontata), pesa di più l’incognita di paesi «non allineati» come Turchia e India, e della sempre più allineata - ma a fianco della Russia - potenza cinese. È presto per tirare le somme: nel resort con vista sul lago di Lucerna lo spazio non manca, due terzi dei posti sono ancora vacanti. Se sia mezzo pieno o mezzo vuoto, dipende dai punti di vista. Ma con due esperti abbiamo provato a fare un punto.   

Paolo Calzini è senior professor di studi russi all’università Johns Hopkins di Bologna e di fatti (e misfatti) putiniani se ne intende. L’assenza del Cremlino al Bürgenstock, sottolinea, è un segnale chiaro.

Mezzo vuoto...

Lavrov e Putin dicono che parlare di pace è inutile, senza la Russia.  
«In un certo senso hanno ragione. Se parliamo di negoziati, l’assenza di uno dei contendenti è determinante sul piano pratico. L’iniziativa svizzera è importante su un altro piano».

Ossia?
«Quello dell’immagine. Si è scelto di chiamarla conferenza di pace. Il termine, di fronte ai timori di un allargamento del conflitto, ha un effetto non scontato. C’è un richiamo al dialogo, anche se le prospettive reali di una conciliazione restano molto lontane e astratte oggi».

Perché?
«La situazione è in grande divenire. Permangono variabili politiche, legate anzitutto alle elezioni americane. Poi c’è il piano militare: da due mesi la Russia sta avanzando, e questo non la porta a cercare negoziati. D’altra parte in Occidente si è rinsaldata la volontà di aiutare militarmente l’Ucraina a medio termine».

Un dialogo tra sordi, insomma
«Non mi sembra che al Bürgenstock si intendano mettere in discussione i valori condivisi dalla compagine occidentale. La stessa Svizzera, il paese ospite, ha ribadito più volte la propria condanna dell’aggressione russa, sulla linea della sua nuova neutralità».

Una neutralità a cui il Cremlino non crede
«È vero che la Svizzera si è allontanata forse per la prima volta da una neutralità assoluta, ha preso posizione su principi che ritiene universali e su questi organizza la conferenza. La Russia parte da tutt’altri presupposti».

Quali?
«Che quei valori universali siano funzionali e manipolati a favore delle tesi americane e occidentali. Per la Russia, inoltre, il riconoscimento del suo ruolo di grande potenza è sicuramente la premessa a qualsiasi dialogo».

Si parla già di una conferenza post-Bürgenstock, in cui invitare la Russia
«Prima o poi un negoziato avverrà. Ma come e quando, mi sembra difficile dirlo ora. Molto come detto dipende da cosa succederà sul piano militare: finora è stata una guerra di attrito, e una situazione di stallo è più favorevole ai negoziati. Se la guerra dovesse sbloccarsi, in un senso o nell’altro, lo scenario cambierebbe».

Mezzo pieno...

Il suo ultimo incarico da ambasciatore svizzero è stato in Cina. Dove nei giorni scorsi Putin si è recato («per la 43.esima volta») in cerca di una sponda. Ma Bernardino Regazzoni non ha dubbi: la vera diplomazia sull’Ucraina passa dal Bürgenstock. «In giro - dice - non vedo altre iniziative e luoghi di dialogo».

Putin non ci verrà, ma è stato a Pechino
«Penso che al Bürgenstock non verrà nemmeno la Cina. Non con esponenti di primo piano».

Questo rende la conferenza meno significativa?
«Lo vedremo quando sarà conclusa. Di sicuro è la cosa giusta da farsi. In questo momento c’è una gran carenza e un gran bisogno di diplomazia».

A Davos erano presenti 88 paesi...
«Ora l’obiettivo è più alto sia per quantità, che per il livello politico dei partecipanti. Ma il successo della conferenza dipenderà anche dalla diversificazione dei paesi coinvolti - penso al Sud del mondo - e soprattutto dal messaggio che produrrà».

In che senso?
«Se ne uscisse soltanto una condanna della Russia, lo scopo non sarebbe raggiunto. Ma non penso accadrà. In agenda c’è un lavoro preparatorio sulla sicurezza nucleare, le vie marittime e i corridoi umanitari».

Non si parla di pace, dunque.
«Chiaro che senza Mosca non sarà una conferenza di pace, ma sulla pace. La diplomazia lavora sulle zone grigie, esplora delle piste che sono sempre parziali e imperfette, ma utili. Io mi auguro che dal Bürgenstock escano proprio una o più di queste piste, che servano più tardi a trovare un accordo di pace».

La congiuntura non sembra migliorare...
«Le guerre finiscono per motivi politici, militari, o con soluzioni diplomatiche. La terza via mi sembra la migliore e l’unica percorribile».

La Cina potrebbe giocare un ruolo?
«Fin dall’inizio si è chiesto a Pechino di dissuadere Mosca. L’ultima visita di Putin ha chiarito che si va semmai nella direzione opposta: quella di un asse geopolitico Russia-Cina in funzione anti-occidentale» .

E la piccola Svizzera cosa può fare?
«Intanto ha preso un’iniziativa coraggiosa, a prescindere dall’esito. Alcuni pensano che per la Svizzera sia meglio tenere un profilo basso e giocare sul sicuro. Io penso che non sarebbe realistico, e non aumenterebbe la sicurezza del nostro Paese».

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