L'editoriale

Il capitale umano come valore per il progresso

Oggi, primo maggio, la Festa del lavoro torna in piazza senza più limitazioni
Mauro Spignesi
01.05.2022 06:00

Oggi, primo maggio, la Festa del lavoro torna in piazza senza più limitazioni. Ritorna nel luogo dove è stata celebrata negli ultimi decenni, ma con un significato diverso. Perché mentre si attendeva una ripresa dell’economia, messa in ginocchio dalle sconvolgenti ripercussioni del virus, mentre si attendevano gli investimenti previsti da diversi paesi per stimolare investimenti e ridare fiato alla produzione (basta ricordare il pacchetto miliardario previsto dall’Unione Europea che può avere inevitabili riflessi anche in Svizzera), si è aperto un conflitto in Ucraina dagli esiti e dalle conseguenze incerte crea nuovamente un clima di profonda incertezza.

Con questo inatteso scenario il mondo lavoro deve oggi fare i conti. Deve fare i conti con una previsione di crescita rivista al ribasso del Prodotto interno lordo, con i mercati immobili (basta pensare a quello dell’auto), con una inflazione ricomparsa dopo molto tempo. Sullo sfondo di questa situazione affatto rassicurante si innestano le sfide della modernità: la transizione ecologica ed energetica non più rinviabile (lo vediamo con il problema del gas che arriva dalla Russia), il clima e la svolta tecnologica. Sfide attorno alle quali si è ormai sedimentata una consapevolezza bipartisan.

Ma al centro di questa giornata rimane la questione del lavoro. Del lavoro come valore sociale e come libertà individuale, come strumento di progresso e di benessere. Anche per una società come quella Svizzera che a ben vedere è riuscita a stare a galla e in parte a schivare le minacce degli ultimi anni, dalla recessione che ha messo in ginocchio buona parte dell’Europa, per passare poi alla pandemia e per finire con la guerra in Ucraina. Il tasso di disoccupazione relativamente basso e il numero degli occupati che cresce non deve, non può far dimenticare piccoli e grandi drammi: quelli che vive chi per un motivo o per l’altro ha perso il lavoro e – come raccontiamo nella prima parte de La Domenica – è entrato in una spirale dove non vede la luce. E dove lo Stato deve fare di più, perché non basta la rete di Uffici di collocamento e delle decine di consulenti se poi per ritrovare un’occupazione bisogna affidarsi alle conoscenze, alle amicizie, all’iniziativa personale e solo raramente a questa struttura. E chi è finito in questo labirinto sa bene. Non per nulla ogni anno quando si fanno i sondaggi viene fuori che tra prime paure degli svizzeri c’è quella della perdita del lavoro.

Se è poi vero che l’occupazione è cresciuta è altrettanto vero che il mercato non riesce ad assordire fasce sociali che vengono tagliate fuori dal mondo della produzione. O che, come capita a molti giovani non formati, non riesce a trovare una occupazione. Poi resta aperto, come da più parti è stato messo in evidenza, il problema della qualità del lavoro, che si è sfilacciata per effetto di una progressiva precarizzazione.

Su questo occorre riflettere in questa giornata del primo maggio, su chi a 50 anni e più si ritrova a casa, o sulla discriminazione di genere affiorata anche in un recente studio dell’Ufficio di statistica. Discriminazione nei confronti delle donne tanto più vergognosa se si registra in un ente pubblico. E non vale dire che questo fenomeno è contenuto poiché rientra in una percentuale fisiologica. È vergognoso e basta. Se non si pone nuovamente al centro della società il capitale umano, l’insieme delle intelligenze, delle competenze e delle sensibilità personali, se non scatta la responsabilità sociale gli effetti delle trasformazioni ricadranno inevitabilmente sempre sui più deboli.