Il personaggio

Il commercio secondo Ménasche

L'ex direttore Manor a tutto tondo sulla sua vita ma anche sullo shopping online e sulle aperture domenicali
Andrea Stern
Andrea Stern
08.05.2022 13:28

Persino Alberto Ménasche, 86 anni, si è lasciato conquistare da Amazon. «Mi capita di fare ordini online - ammette l’ex direttore degli acquisti ed ex direttore regionale di Manor, nonché ex presidente di Federcommercio -. In particolar modo i libri li compro molto volentieri su Amazon. Oppure certi articoli che non sono riuscito a trovare nei negozi. Ma sono eccezioni. Perché in genere mi piace ancora andare sul posto, vedere il prodotto con i miei occhi, poterlo toccare con mano».

Quasi una deformazione professionale per un uomo che ha trascorso oltre 40 anni nel gruppo Manor. Una carriera iniziata come confezionatore di pacchi all’allora Placette di Losanna e conclusa nelle più alte sfere dirigenziali della catena di grandi magazzini.

Dal politecnico... alla Placette

E pensare che Alberto Ménasche era stato mandato dal padre in Svizzera per studiare ingegneria al Politecnico di Losanna. Mai si sarebbe immaginato una carriera nel settore del commercio. Ma a stravolgere i suoi piani ci pensarono le vicissitudini egiziane. Negli anni ’50 Gamal Abd el-Nasser rovesciò la monarchia di re Farouk e, tra le varie cose, avviò una politica ostile nei confronti dei cittadini egiziani di confessione ebraica, quali i Ménasche. Il padre di Alberto, Maurice, si vide sequestrare tutti i beni. Mentre Alberto, che si trovava in Svizzera, si vide revocare il passaporto egiziano e si ritrovò nella condizione di apolide. Senza soldi e senza nazionalità, fu costretto a interrompere gli studi e cercare un qualsiasi lavoro che gli permettesse di mettere qualcosa sotto i denti. Lo trovò alla Placette.

«Mi sento profondamente legato alla Manor - riprende Ménasche -. All’inizio non fu facile. Guadagnavo 300 franchi al mese, la metà la mandavo a mio fratello, che non aveva alcuna forma di sostentamento, altri 90 franchi andavano per l’affitto. Mi restavano 60 franchi al mese per mangiare, 2 franchi al giorno. Dovetti fare tanti sacrifici. Ma piano piano i miei sforzi vennero ricompensati».

La Manor ha perso il treno della vendita online. È entrata in ritardo, avrebbe dovuto lanciarsi molto prima

Il treno perso dell’online

Alberto Ménasche fu protagonista del periodo d’oro del commercio e della Manor in particolare. Un periodo che sembra ormai lontano. «La Manor ha perso il treno della vendita online - afferma -. È entrata in ritardo, avrebbe dovuto lanciarsi molto prima. Ai tempi i proprietari si giustificarono dicendo che il loro mestiere non era quello di vendere merce online. Non hanno visto arrivare questo nuovo fenomeno che ha preso enormemente piede. Hanno perso il treno».

Ciò non significa che i tempi del negozio fisico siano finiti. «Io non sono un mago - prosegue Ménasche -, non so prevedere il futuro. Ma la mia impressione è che ci siano ancora tutti i presupposti perché la gente vada a vedere la merce sul posto, vada a comperare sul posto. È vero che il commercio online è in forte crescita, ma è anche vero che ancora in tempi recenti il panorama dei negozi si è arricchito di nuove insegne, come Aldi o Lidl. Credo che ci sia spazio per entrambe le modalità dicommercio».

Il rapporto tribolato con i sindacati

A condizioni di lottare ad armi pari. Perché oggi le regole del gioco favoriscono nettamente chi lavora online. Amazon e compagnia bella possono operare ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette, in condizioni che spesso sfuggono a un quadro legale. I negozi tradizionali devono condurre lunghe ed estenuanti battaglie con i sindacati per restare aperti un quarto d’ora in più.

«Ci sono dinamiche che sono completamente fuori dal tempo - osserva Ménasche -. Da sempre i sindacati hanno avuto nel mirino la grande distrib uzione, nonostante offrisse stipendi adeguati già prima dell’introduzione dei contratti collettivi di lavoro. I sindacati hanno spesso utilizzato la battaglia con la grande distribuzione per profilarsi più che per difendere il lavoro e i lavoratori».

Mille franchi in più alle commesse

Forse perché partito dal basso, Alberto Ménasche non ha mai faticato a difendere le ragioni dei lavoratori. Poco dopo essere giunto in Ticino fu lui stesso a battersi con successo affinché la proprietà di Manor aumentasse di 1.000 franchi al mese lo stipendio delle commesse, dopo che alcune di loro gli avevano confessato la loro difficoltà di arrivare a fine mese. Ménasche è convinto che lo scopo di un’azienda debba essere il profitto. Ma è altrettanto convinto che questo profitto debba andare a beneficio di tutti i dipendenti.

«Mi sono scontrato spesso con i sindacati - ricorda Ménasche -. Tuttavia non sono contro i sindacati. Credo che abbiano un loro ruolo legittimo. Ci sarà sempre bisogno di qualcuno che difenda i lavoratori, anche perché ci sarà sempre qualche datore di lavoro disonesto pronto ad approfittarne».

Da liberale DOC, io sono contrario alle imposizioni. Io sarei per concedere a ognuno la libertà di aprire quando meglio crede

La (non) apertura domenicale

Al centro delle divergenze tra Ménasche e i sindacati vi è stata soprattutto la questione degli orari di apertura.«Da liberale DOC - afferma -, io sono contrario alle imposizioni. Io sarei per concedere a ognuno la libertà di aprire quando meglio crede».

Libertà e non obbligo. Per questo Ménasche - al contrario di altri - non se la sente di criticare i commercianti luganesi che non approfittano della possibilità di aprire anche di domenica. «Capisco che per i piccoli negozi non sia facile organizzarsi - dice -. L’apertura sette giorni su sette rende necessaria l’assunzione di personale supplementare. Non sempre ne vale la pena. È vero che la domenica c’è spesso tanta gente a passeggio sul lungolago. Ma questo non significa che tutti i commercianti potrebbero fare buoni affari restando aperti. Non mi sento di biasimare coloro che restano chiusi».

Una Lugano che cambia, in bene

Parola di un uomo che si è sempre battuto per favorire lo sviluppo della sua città d’adozione, Lugano. «Qui ho vissuto più di sessant’anni - nota -, io amo questa città che mi ha accolto e credo fermamente nel suo futuro.Una volta a Lugano si sviluppavano solo palazzi destinati alle banche, oggi si dà spazio ad altri elementi. Peccato solo che spesso i tempi di realizzazione siano molto lunghi e quindi io non riuscirò a vedere certe opere. Ma già oggi quando vedo ad esempio il LAC mi dico che è una realtà meravigliosa. L’idea di portare il tram in città è entusiasmante. Ci sono tanti altri bei progetti che sono in fase di realizzazione. Sta crescendo una Lugano più variegata e questo mi piace molto».