L'editoriale

Il delicato vertice di Lugano e la stanchezza alleata di Putin

Dopo tutto questo tempo, dopo un diffuso sentimento di solidarietà trasversale, oggi si assiste a uno sfilacciamento progressivo di quello stato d’animo che si registrava dopo il 24 febbraio
Mauro Spignesi
12.06.2022 06:00

Dopo tutto questo tempo, dopo un diffuso sentimento di solidarietà trasversale, oggi si assiste a uno sfilacciamento progressivo di quello stato d’animo che si registrava dopo il 24 febbraio. Sono subentrate comprensibili, umane paure che sono solidificate complici gli inevitabili riflessi che una guerra si porta sempre dietro. E che non colpiscono solo chi è sotto attacco, ma vivono tutti: il crollo della Borsa, l’aumento delle materie prime, l’inflazione, la crisi del grano, il prezzo del carburante alle stelle. Il costo del denaro.

Davanti a questo nuovo scenario, a questo clima d’incertezza più passano i giorni e più cresce la stanchezza; più passano i giorni e più si diffonde l’idea che sì, alla fine, sarebbe meglio che Vladimir Putin si prendesse quei benedetti territori che rivendica arbitrariamente, basta che questa guerra finisca al più presto e ognuno possa riprendere la propria vita. Tanto, osservano molti, la condanna al sanguinoso invasore c’è stata, le sanzioni sono scattate, Putin è isolato (persino Mc Donalds è fuggita dalla Russia) e rischia di non poter uscire dai confini, condannato a viaggiare solo nei Paesi amici. Poi si è risvegliato il sentimento antiamericano, quell’idea che gli Usa sono gli antipatici sceriffi del mondo e proprio a loro, che ne hanno combinate di tutti i colori, non si può consegnare la chiave della pace. Insomma, chiudiamola qui.

Il problema è che tutto questo Vladimir Putin - che non è affatto uno sprovveduto - lo ha capito bene. Ha capito che mentre all’inizio aveva tutti contro e doveva reggere botta e un muro ostilità, oggi ha uno straordinario alleato: il cambio di atteggiamento dell’opinione pubblica dell’Occidente. Un mutamento che indebolisce governi e diplomazia che sin qui hanno reagito duramente all’invasione ucraina riuscendo peraltro ad accogliere 5 milioni di profughi (distribuiti in 44 Paesi). È questo il quadro in cui si svolgerà l’importante vertice di Lugano.

Lo scrittore italiano Marco Archetti sul quotidiano il Foglio tempo fa per raccontare quanto sta avvenendo a Kiev e dintorni ha fatto ricorso a uno dei nostri più straordinari intellettuali, Friedrich Dürrenmatt. Il suo racconto «Il vecchio», scritto a 24 anni, ha fatto notare Archetti, sembra pensato per l’Ucraina e la nostra «riluttanza a fare l’unica cosa che andrebbe fatta: guardare il male negli occhi». Perché «il male esiste e può contare sempre sulle incertezze di chi dovrebbe combatterlo».

Nessuno sa come finirà in Ucraina. Però, come dice Dürrenmatt, se si continuerà a pensare che tanto la giustizia alla fine non trionfa mai, che i prepotenti possono continuare a fare i prepotenti, la sconfitta, questa sì, sarà di tutti.

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