Il magico mondo di Pericle
Se non fosse vera, sarebbe una storia romanzesca. E invece, forse, i romanzi non erano la materia forte del protagonista di questa storia, quanto, al contrario, i trattati filosofici, i saggi meditazionali, gli scavi su religioni, arti e nozioni esoteriche da tutto il mondo. Ora che Luigi Pericle, di lui stiamo parlando, ha trovato la via di un ritorno a casa, almeno artisticamente parlando, e cioè a Londra, alla Estorick Collection (una personale che mette l’accento proprio sul «maestro ritrovato», si può vedere sino al 18 dicembre), l’occasione è ghiotta per ripercorrere, con lui, la clamorosa assenza che si tramuta in discreta presenza e la possibile assiduità che, ci auguriamo, con questo artista avremo in futuro. Ma andiamo con ordine.
Un personaggio scanzonato
Nato nel 1916, l’artista svizzero, ma di origini italiane, frequenta il mondo dell’illustrazione: si impone con un personaggio simpatico e scanzonato (Max la marmotta) ma, privatamente, comincia a dipingere: il periodo figurativo è breve, l’astrazione si impossessa di lui e non lo abbandonerà più. Espone solo tra il 1962 e il 1965, ed è qui che la vicenda prende a farsi interessante: approda appunto a Londra, per merito della Tooth Gallery, tra gli altri, che ha l’intuizione di proporlo al pubblico in mostre personali e in collettive dove non sfigura accanto a nomi rinomati della pittura astratta internazionale. Per motivi che possiamo solo intuire, ma facilmente comprensibili alla luce del seguito della vicenda, Pericle, però smette di esporre (non di dipingere e studiare) e si rifugia ad Ascona. Dopo il 1980 diventa un uomo di studi: mistici cristiani, maestri orientali, teosofia, yoga, zen, esoterismo e, dopo la scomparsa della moglie, trova il conforto della meditazione, fino alla morte avvenuta nel 2001 ad Ascona.
Quindici lunghi anni
Probabilmente sarebbe finita così. Ma poiché le storie hanno un’anima, oltre che uno svolgimento, succede che la Casa San Tomaso, di proprietà già negli anni Trenta della pittrice e collezionista Nell Walden, diventata poi il rifugio di Pericle, in simbiosi con la natura, per mancanza di eredi, entra nella disponibilità delle autorità elvetiche. Passano 15 anni, 15 lunghi anni: anni distratti, intrisi del sentimento della dimenticanza. Ma, appunto, il destino trova strade contorte per compiersi: e nel 2016 la villa viene acquistata da Greta e Andrea Biasca-Caroni. «La magica avventura è iniziata nel dicembre 2016 con l’acquisto, per andarci a vivere, della casa appartenuta al pittore. Casa San Tomaso si trova di fronte all’Hotel Ascona, sulla collina di Monte Verità» raccontano i coniugi Biasca-Caroni. «Abbiamo acquisito, oltre allo stabile ormai completamente dismesso, anche tutto il suo contenuto, ovvero abiti, oggetti, taccuini, libri e, con nostra grande sorpresa, centinaia di opere pittoriche».
Sarà questo il fondo della riscoperta. Alla Estorick, oggi, i pezzi dimostrano tutta la sua indubitabile bravura: «sbalzi» tridimensionali che da vicino sono frutto della sua perizia ottica, e poi quell’insistere, che dal vero è palese, su ciò che gli occhi non vedono e solo la mente in fase mistica può cogliere al meglio: è un calligrafo dell’invisibile. Nelle emozionanti teche, poi, tracce di suoi studi in quaderni ordinati: sunti di mistici occidentali e orientali, oroscopi e testi omerici. Un romanzo filosofico, in tedesco, in dattiloscritto: Bis ans Ende der Zeiten. Morgëndammerung und Neuanfang statt Weltuntergang (più o meno: Fino alla fine dei tempi. Alba e nuovo inizio invece della fine del mondo). Credo che lì si celi molto del modo e del mondo interiore di Pericle. Aveva fatto un’equazione perfetta tra Verità e Bellezza e il suo messaggio, di nascondimento, di profondità, di capire «oltre il visibile» ora ci si staglia con forza, e quasi con inevitabilità.
Ridare sostanza teorica
Ma non basta. Perché oltre ai cataloghi delle mostre (prima di quella londinese, ne ricordiamo una a Lugano e poi a Venezia), i coniugi Biasca-Caroni, insieme a un manipolo di studiosi, hanno provato a ridare sostanza teorica (e pratica) per fare capire meglio il mondo di Pericle. E a un certo punto della lettura dell’aureo volume Luigi Pericle. Il Maestro ritrovato (edito da Nino Aragno, pagg. 162, € 25; sarà presentato a Milano nell’ambito di BookCity Milano, giovedi 17 novembre 2022 alle ore 18:30, presso il Centro Svizzero e poi a Venezia nei giorni successivi dove in un convegno su Eranos Martina Mazzotta, del Warburg Institute parlerà dei rapporti, ad Ascona, tra Pericle e Herbert Read), curato da Andrea Biasca-Caroni e con i saggi notevoli, tra gli altri, di Luigi Mascheroni e Angelo Crespi, sembrato che il cerchio finalmente si chiuda.
Gli ammiratori di Pericle ritrovano nel libro valenze, artistiche, filosofiche, esoteriche (Mascheroni svela vite, e visioni, e letture, di Pericle), importanti. Nel saggio, denso, colto e preciso, di Angelo Crespi, si viene a sapere che Pericle, nell’unico suo catalogo che pubblicò in vita, sceglie questo immortale verso di Keats in esergo: «Beauty is truth, truth beauty». Ci vuole il coraggio degli iniziati, e dei forti, a volere una frase così immensa e commovente da rasentare l’«effetto cioccolatino».
«La bellezza è verità»
E se, anzi, la si inscrive a insegna del lavoro d’una vita, non può che essere concetto da religione laica, quasi panteistica, dove tutto torna, scorre; e ritorna. «La bellezza è verità, la verità bellezza»: così gli angeli e arcangeli delle tele di Pericle, i suoi astratti segni di colore, i neri, le geometrie, graffi e dolcezze, trovano peso, casa, ragione. La celebrazione alla Estorick a Londra, e quelle che verranno, confermeranno che Luigi Pericle, artista eccentrico e geniale, volle sì sparire ma fu battuto dal destino e dalla sua stessa arte: che è verità, e bellezza, e splende e si dona a chi la cerca e vuol capire. «L’arte è il mezzo essenziale per esprimere la verità» scrisse l’artista «per tornare a cogliere la verità del tutto come proprietà trascendentale dell’essere, che non costituisce una grandezza astratta ma è il legame tra l’assoluto e il mondo». Non sorprende che dentro quei quadri si celi un alfabeto invisibile, una calligrafia sapienziale che richiama e attende che i nuovi adepti della setta dei «periclitanti», corrano il rischio di vedere, nella sua opera, di trovarsi pericolosamente vicini a qualcosa di bello e di vero.