«Il mio Mendrisiotto stravolto, prima dalla pittura e poi dall'edilizia»

Dove sorgevano i paesaggi di Albert Müller, come la Grosser Tessinerlandschaft che campeggia sulla copertina del nuovo libro di Alberto Nessi, oggi ci sono spesso distese di capannoni. Molto meno verde, più grigio-cemento o, se va bene, il rosso-mattone di Mario Botta. Anche le vedute del Mendrisiotto trasfigurate nell’espressionismo di Hermann Scherer e Walter Kurt Wiemken oggi appaiono ancor meno riconoscibili, stravolte di nuovo - definitivamente - dalle «pennellate» dell’industria e dell’edilizia commerciale.
La luce è rimasta la stessa. E anche la línea dei colli. E alla luce è dedicato il nuovo libro del poeta-narratore che alle storie del Mendrisiotto, e alla sua trasformazione, ha dedicato parte della sua produzione: «In cerca della luce» (Casagrande, giugno 2025) è una raccolta di racconti in cui Nessi ripercorre le tracce dei grandi pittori che nella prima metà del secolo scorso sono scesi in Ticino - ma qualcuno è anche salito - alla ricerca di colori nuovi. E che hanno trovato un mondo oggi quasi scomparso. L’autore lo presenterà alla libreria Casagrande di Bellinzona sabato 15 novembre, poi al LAC domenica 22 novembre.
Sonnenstube
«La luce è il sole della Sonnentstube, ma anche una metafora dell’ispirazione e della creatività» racconta l’85.enne di Mendrisio, nel frattempo spostatosi nella Valle di Muggio in cerca - anche lui – di una luce perduta. «Quello che incontravano i pittori ‘immigrati’ in Ticino prima del boom economico era un paesaggio quasi incantato. Hermann Hesse, che fuggiva schifato dal mondo della tecnologica nordica, scrisse non a caso che gli sembrava di essere arrivato in Oriente».
Nessi ha vissuto a lungo a Coldrerio, nel nucleo storico, a pochi passi da quella che fu per due anni la dimora ticinese di Albert Müller. «Ho visto ho sempre sentito con lui una vicinanza che tavalica il tempo». Espressionista del gruppo basilese Rot-Blau che ruotava attorno a Ernst Ludwig Kirchner, Müller muore di tifo nel 1926 a Obino, alle porte della Valle di Muggio, dove aveva vissuto anche l’amico-rivale Hermann Scherer, anche lui morto di tifo l’anno dopo.
Era un Ticino luminoso ma anche drammatico, quello che attraversano gli artisti «immigrati» di Nessi, spesso senza uscirne vivi. E la Sonnentstube dopotutto era un cliché e «come tutti i cliché era ed è profondamente falso e orribile» sottolinea l’autore. «In realtà il Ticino era un posto come tutti gli altri, con gli stessi problemi, più povero degli altri».
Immigrazione artistica
Walter Kurt Wiemken, altro basilese espressionista-simbolista, muore forse suicida nelle gole della Breggia - ma Nessi propende per l’incidente, «d’inverno le gole sono pericolosissime» - e ritrovato dopo due mesi di ricerche, nel gennaio 1941. Jean Corty, alias Giovanni Battista Corti, neocastellano di origini ticinesi, dipinge mentre entra ed esce dalla clinica psichiatrica di Mendrisio (dove si spegne il 26 aprile 1946). In modo ognuno diverso, i nove protagonisti sono ritratti «tra fantasticheria e ricerca documentale, biografia e immaginazione» nel loro anticonformismo, che trovò accoglienza in una terra che «allora era sì più povera ma anche più generosa».
L’idea del libro nasce da lontano. «Ho sempre amato la pittura fin dall’adolescenza» racconta Nessi. «E mi ha sempre affascinato la vita dei pittori, quello che accade nella mente dell’artista quando si mette davanti al cavalletto». Nella sua ricostruzione a metà tra sogno e storia dell’arte, lo scrittore sfiora soltanto le figure dei grandi artisti locali, non per disistima: Vincenzo Vela - «un genio generoso, anche lui, che non esitò varcare il confine per unirsi alle lotte risorgimentali» - Filippo Franzoni, meno conosciuto ma «altrettanto valido» e amato da Nessi, restano in disparte e lasciano la scena agli stranieri. Perché «anche se spesso lo dimentichiamo il Ticino è stato a lungo una terra di immigrazione artistica, proprio come è stato terra di emigrazione, invece, di lavoratori».
Mendrisio, Ascona, Lugano
Sono gli artisti immigrati e radicati nel territorio a interessargli, non gli autori di passaggio dell’impressionismo ottocentesco - con tutto il rispetto per William Turner, i cui acquarelli di Bellinzona e del piano di Magadino «sono meravigliosi» ma «esprimono una sensibilità precedente» - ma i testimoni dei drammi e degli stravolgimenti del Novecento, «con tutte le sue guerre e i suoi disastri», quando il paesaggio inizia a cambiare, anzitutto, nella mente dei pittori.
Il quadro che ne esce, quindi, è già un’immagine distorta del Ticino: la trasfigurazione espressionista del Mendrisiotto di Nessi ad opera di Müller, Scherer, Wiemken, Corty, ma anche quella del Lago Maggiore per mano di artisti come Robert Schürch, Marianne von Werefkin - gli «asconesi» - o le colline del Luganese scomposte sul cavalletto di Hermann Hesse, a cui è dedicata una «fantasia» finale in un racconto irónico sull’arte di scrivere.
«Mi interessava il modo in cui il mio paese è stato scoperto dagli artisti nordici, l’immagine che questi ne hanno poi restituito all’esterno. Un’immagine stravolta espressivamente ma positiva» ragiona lo scrittore. «La bellezza è anche nello stravolgimento».
Il bello nascosto
Dopo lo stravolgimento artistico però - che in qualche modo lo ha preannunciato - è arrivato lo stravolgimento reale: non ad opera di pittori o pittori-scrittori ma di costruttori e politici-pianificatori. A parte la luce ormai, in quegli stessi luoghi, della bellezza che incantò i nordici «sono rimaste le linee dei colli e poco altro» lamenta Nessi. «Il bello c’è ancora ma per vederlo bisogna scrostare via tutto il resto, gli obbrobri e le contraffazioni edilizie».
Del Mendrisiotto, in particolare, il poeta e scrittore salva ancora degli scorci, porzioni risparmiate dall’urbanizzazione - «la zona della montagna tra Arzo e Tremona è bellissima, la Valle di Muggio» - e i piccoli «interstizi» e i particolari, perché «la bellezza non deve essere per forza complessiva ma si trova nei dettagli, può convivere con le imperfezioni». A ricordarcelo dopotutto sono proprio le forme dell’espressionismo tedesco, svizzero tedesco e italiano, ma ticinese d’adozione. Storie che, conclude Nessi, «è importante ricordare e riscoprire» e non affidarle soltanto a qualche rara targa commemorativa.
