Cultura

Il mondo di Eco in una stanza

Nello studiolo del semiologo, grande collezionista di testi antichi, un pezzo di storia della letteratura
Stefano Salis
26.06.2022 09:58

Naturalmente… un libro. Anzi, migliaia. Ma uno in particolare. Perché da uno, sia pure famosissimo, si vede il metodo e la disposizione, la capacità e la fantasia, la ricerca e la finzione. Partiamo, dunque, dalla fine. Dal celebre distico finale che dà succo, e consistenza, a uno dei più belli ed enigmatici titoli della letteratura italiana recente, ovviamente usato per uno dei romanzi che, piaccia o no, è destinato a rimanere, nelle antologie future, come uno dei più significativi del canone recente della nostra letteratura.

L’autunno del Medioevo

«Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus»: è il distico che chiude Il nome della rosa. Tratto da un libro rarissimo, il De contemptu mundi di Bernardo di Morlay (XII secolo). Ma Umberto Eco, ecco di chi stiamo parlando, come si sarà capito, non lo pesca dall’opera originale. Lo trova, invece, citato alla pagina 188 della sua edizione di un altro celebre libro, di cui si stava servendo per motivi di studio e di svago (due cose che spesso in lui coincidevano e si nutrivano a vicenda): il noto L’autunno del Medioevo di Johann Huizinga, nell’edizione Sansoni del 1961. È proprio quella pagina che vediamo, squadernata davanti a noi, nella eccezionale mostra in corso (fino al 2 luglio) alla Braidense di Milano (Brera). Negli spazi della austera e magnifica Sala teresiana, ecco «L’idea della biblioteca. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca Nazionale Braidense» (con annesso, ottimo, catalogo Scalpendi), che espone, per la prima volta al pubblico, una selezione dei volumi antichi acquisiti dal Ministero della Cultura italiano dalla famiglia Eco nel 2018.

Libri sui libri, sui libri. La vertigine e la lista, altre due fissazioni dell’Eco studioso e scrittore, si richiamano, nella sala, ed è un passaggio dentro la mente, e la capacità di realizzare libri, di Eco.

Un supporto mentale

Ma non è finita qui. Perché se il giro di queste teche della Braidense, inaugurate con un doveroso omaggio ad Aby Warburg, altro supremo bibliotecario, creatore, grazie al demone dell’analogia (l’unico sensato in materia di libri e conoscenze) e cui Eco non si sottrae di certo, e continuate con libri che sono il supporto mentale (e materiale) ai suoi successivi romanzi e studi, già inebria, nello scrigno di Milano alberga ancora altro.

Parlo dello «Studiolo», uno spazio da oggi a disposizione degli studiosi, dove sono stati conservati tutti i 1300 titoli rari, tra cui 36 incunaboli, cioè i libri stampati prima del 1500, provenienti dalla cosiddetta «Bibliotheca semiologica, curiosa, lunatica, magica et pneumatica» come la chiamava il grande intellettuale, figura unica e inimitabile nella cultura italiana. Lo «Studiolo», poi, preserva il più possibile la collocazione dei libri che Umberto Eco aveva ordinato nella sua casa che affacciava sul Castello Sforzesco a Milano.

Si tratta, insomma, di una ricostruzione (accanto c’è lo studio di Manzoni: ed è buono e giusto che Milano onori in questo tempio del libro due suoi grandi scrittori), che consente di entrare dentro la «macchina narrativa» di Eco (va aggiunto che, sempre nel rispetto delle volontà di Umberto Eco e della sua famiglia, la sua vasta collezione di oltre 35.000 libri moderni e l’archivio saranno in comodato d’uso all’Università di Bologna Alma Mater Studiorum, dove ha insegnato per 40 anni).

Le maggiori sorprese

Ed è a questo proposito che l’esposizione e i libri custoditi nello studiolo riservano le maggiori sorprese. Certo, è un scegliere fior da fiore e i bibliofili possono sentirsi allargare il cuore. Attenzione. Sono opere che, ai più, non dicono nulla (non che Eco non subisse il fascino e non possedesse opere rare e preziose, ma più «popolari», come le prime edizioni dei Promessi Sposi e Ulysses di Joyce), ma sono il fondamento della sua Biblioteca. In una teca, viene riportata la singolare coincidenza che capitò al semiologo una volta: intervistato da un giornalista della BBC, e parlando di lingue inventate, di saperi non ben definiti, gli capitò di uscire e trovare, presso un antiquario londinese, uno dei libri di cui aveva appena parlato. Era la nascita della sua Bibliotheca: ciò che attirava Eco, insomma, era il compendio dei saperi non esatti, non definiti, palesemente (con il senno di poi) errati.

«Sono un collezionista a soggetto - mi disse una volta Eco - e la mia raccolta si intitola Biliotheca semiologica curiosa, magica et pneumatica (titolo derivato da alcuni manuali celebri come quello di Graesse). Cerco linguaggi strani, dalle lingue inventate all’alchimia, le mnemotecniche e le steganografie. In genere libri che dicano il falso, per cui ho Tolomeo ma non Galileo». Ecco: è in questo che sta la differenza, tra Eco e i colleghi bibliofili. Per Eco la bibliofilia era anche una faccenda quasi sempre anche di studio, di interesse Per questo Eco cercava nei cataloghi e nelle librerie i libri più strampalati, era esperto di autori inclassificabili, tutti genio (poco) e sregolatezza (molta), che illustrano con le loro opere inconsueti percorsi del sapere.

Il piacere di toccare la carta

Nel denso saggio Collazioni di un collezionista, nel quale si spiega come procede un bibliofilo competente nel capire cosa ha, cosa deve cercare, cosa può ottenere (e quindi, per converso, come «valutare») scriveva. «Il piacere di un bibliofilo è quello di compulsare cataloghi, di fare collazioni, di aggiornare continuamente le notizie su un libro. E naturalmente di sfogliare, rivedere le incisioni, toccare la carta che fa ancora crac crac sotto le dita, mentre gli e-books non reagiscono al tatto». E infatti, raccontando di sue avventure per cataloghi, andava molto orgoglioso di un tiro che seppe fare a Jost Ritman, bibliofilo di Amsterdam che era un po’ il suo rivale. «Vorrei avere tutta la «Bibliotheca Hermetica» di Jost Ritman” mi disse. Eco e Ritman si sono combattuti, negli anni passati, i pezzi più ghiotti (per i loro interessi) sul mercato. Vincendo e perdendo battaglie un po’ per uno. «Un sogno realizzato da bibliofilo: il più bello è quando ho scoperto in un catalogo d’asta tedesco la Offenbahrung Göttlisches Majestat di Aegidius Guttman, un testo pre-Rosacroce mai apparso in catalogo. Per distrazione o errore era stato messo nella sezione dei libri di teologia e se ne chiedeva un prezzo di partenza irrisorio, cento euro di oggi. Ho pregato il mio editore tedesco di andare all’asta, di non offrire nulla aspettando di vedere chi avrebbe fatto un’offerta. Nessuno l’ha fatta e ho avuto quella meraviglia per la cifra di partenza».

L’emissario di Ritman

A quell’asta partecipava anche l’emissario di Ritman, che comprò pezzi più costosi, ma quello se lo fece sfuggire. E lo collocò, dritto dritto, nello Studiolo. Fiero di poterlo contemplare ogni giorno, con sguardo da bibliofilo, concupiscenza da studioso, sogghigno da collezionista.