In attesa dello sfratto: «Non farò resistenza»

Ramazan Ylmaz guarda fuori dalla finestra del «suo» monolocale, in via Pedemonte a Viganello: in giardino le ruspe sono al lavoro. Su un tavolino di fianco alla Tv le lettere sono accumulate alla rinfusa: la banca gli intima di lasciare l’appartamento, la cassa malati di pagare 2.500 franchi per l’ambulanza.
Le due cose sono collegate. Nel mese di febbraio Yldiz è stato ricoverato per l’ennesima volta a causa di una depressione cronica: ha avuto un tracollo quando ha ricevuto la disdetta d’affitto. «Non sapevo cosa fare - racconta - ho ingerito un sacco di pastiglie e mi sono steso sul divano». La polizia ha forzato la porta e chiamato l’ambulanza. Dopo due settimane in clinica Yldiz è tornato a casa e si è ritrovato di nuovo sul divano, triste come prima, e con le fatture dell’ambulanza da pagare.
Senza via d’uscita
La cosa assurda è che anche la polizia potrebbe tornare da un momento all’altro: non per soccorrerlo, però, ma per farlo uscire di casa. Ylmiz è uno dei circa quattrocento inquilini che, ogni anno, ricevono un ordine di «espulsione per mora» inTicino. Dopo la «tregua» durante la pandemia, in cui il Consiglio federale ha prolungato i tempi di disdetta (da 30 a 90 giorni) a favore degli inquilini morosi, le Preture sono tornate a emanare a pieno ritmo decisioni di sfratto nei confronti di chi non paga l’affitto.
La buona notizia è che i numeri sono ancora relativamente bassi, rispetto al picco dei tempi bui post-crisi del 2008. Ma non sono trascurabili. Nel 2022, stando al rendiconto della Magistratura, le procedure sono state 476, il 30 per cento in più rispetto all’anno prima: oltre uno sfratto al giorno. Oggi dovrebbero aver raggiunto i livelli pre-pandemici (536 procedure nel 2019) a giudicare dagli interventi di polizia. Sono 141 quelli eseguiti nelle cinque principali città ticinesi negli ultimi due anni: un dato complessivo non esiste, ma contattando le singole Polizie comunali si scopre che gli agenti, solo l’anno scorso, hanno «messo alla porta» 75 morosi tra Chiasso, Mendrisio, Lugano, Locarno e Bellinzona.
Si tratta di casi estremi. La maggior parte degli inquilini sotto sfratto in Ticino - statisticamente, circa in sette casi su otto - se ne vanno «con le buone» ossia dopo avere ricevuto la lettera del giudice. La polizia interviene a discrezione del padrone di casa, che se ne assume anche i costi, e la città dove in proporzione ciò accade più spesso è Bellinzona: nel 2022 gli agenti sono dovuti intervenire in un terzo dei casi (27 volte su 82 sfratti).
«Leggero aumento, il motivo è il lavoro»
«Uno sfratto è un travaglio per tutti, anche per i padroni di casa». E a questi travagli il fiduciario Giuseppe Arrigoni, alla Camera di conciliazione di Massagno, ha assistito spesso negli ultimi anni. L’impressione «è che ci sia stato un leggero aumento di sfratti e diffide almeno a giudicare dal nostro osservatorio» avverte il membro del comitato direttivo della SVIT.
L’associazione riunisce 170 fiduciari immobiliari in Ticino: sono quelli che di solito, quando un inquilino non paga, mandano le diffide e seguono la procedura di espulsione. «Dopo le deroghe pandemiche quello che si nota è che molti inquilini, soprattutto nei contesti abitativi popolari o comunque non di alto standing, sono più soggetti a procedure di questo tipo purtroppo». Il motivo è difficile da determinare, ma ha a che fare nella maggioranza dei casi «con questioni lavorative» continua il direttore di GerFid Immobiliare a Lugano. «Quello che vediamo spesso, anche in fase di conciliazione, è che le persone diventano morose a seguito di cambiamenti nella situazione professionale, vuoi per licenziamento, malattia o riduzione della percentuale d’occupazione». I casi secondo Arrigoni sarebbero «diventati più frequenti in particolare dall’anno scorso».
«Situazioni delicate»
«Ci sono inquilini che manifestano l’intenzione di non lasciare la casa, o che hanno già creato problemi in passato. A volte è sufficiente la presenza della divisa per sbloccare la situazione, senza il bisogno di accompagnare fisicamente le persone» spiegano ad esempio dalla Polizia comunale di Chiasso. Nella città di confine il tasso di abitazioni sfitte è il più alto del Ticino (11 per cento) ma non per questo ci sono meno sfratti. Il caso più grosso era stato quello di un palazzo in piazza Boffalora dove, nel 2020, una ventina di inquilini ricevettero lo sfratto collettivo. Nel frattempo il palazzo è stato rinnovato e i vecchi abitanti hanno traslocato a malincuore, ma «senza interventi problematici» assicura la polizia.

A livello urbano non esistono zone più «calde» di altre, ma singoli edifici possono attraversare momenti turbolenti. Nel Luganese il famigerato grattacielo di via Industria 17, a Pregassona, ha cambiato due volte amministratore dopo le situazioni di degrado salite alla ribalta negli anni scorsi. Dopo una serie di disdette e sfratti oggi la situazione è decisamente migliorata, spiegano dalla fiduciaria immobiliare Livit, che nel 2022 è subentrata alla Cassa Pensioni della Città nella gestione dell’edificio. «Alcune disdette sono state date nel corso delle normali attività di gestione». Qui sì, non di rado, con l’aiuto della polizia.
«Non faccio resistenza»
Nel caso di Ylmaz, alla fine, potrebbe non essere necessario. Il 58.enne cittadino turco, dopo nove anni nello stesso appartamento - pagato dall’assistenza - sembra intenzionato ad andarsene da sé, entro la data intimatagli. «Non ho altra scelta» dice.
Cosa ne sarà di lui dopo, non lo sa. La sua storia è una «anomalia» in cui qualcosa - ma non vale per tutti gli sfratti? - non ha funzionato. Dopo 22 anni in Ticino, ad agosto gli è stata revocata l’assistenza. Per suo conto SOS Ticino ha presentato un reclamo presso l’Ufficio del sostegno sociale, e Ylmaz spera di ricevere una risposta prima che arrivi la decisione del giudice. «Altrimenti - dice - mi toccherà dormire per strada».