Il reportage

Infiltrati tra i pomodori sul Piano di Magadino

Paghe da fame anche in Ticino? Abbiamo lavorato con i braccianti per cercare risposte (e abbiamo trovato la polizia)
© CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
18.06.2023 06:00

Raccogliere pomodori sul piano di Magadino non è come raccontarlo, scriverlo in un articolo. Il sole picchia sui tunnel di cèllofan. Le ventole fanno poca aria e emettono un rumore infernale: dopo la prima fila di grappoli siamo coperti di sudore e verderame. La schiena è a pezzi.

La seconda fila va meglio, alla terza ci si abitua. Abbiamo fatto una prova in incognito in un’azienda agricola. È andata bene, «ma non fa per noi», abbiamo spiegato. Cercavamo salari da fame - 5 franchi all’ora, secondo alcune segnalazioni - abbiamo trovato fatica e sacrifici, e anche un controllo di polizia a sorpresa.

Primo e ultimo giorno

«Fernando! È arrivato quello nuovo». Il capo-squadra aspetta davanti alla serra e approfittiamo per fare un ripasso. Inizio alle sette, alle 9 pausa di 15 minuti, pranzo 12-13, si finisce alle 18. «Tutto chiaro?». Chiaro: sono dieci ore al giorno per 3.300 franchi al mese. Diviso 220 ore fanno 15 franchi all’ora, calcoliamo a mente mentre il capo-squadra lancia un altro urlo («Fernandoooo») e in mezzo ai filari compare finalmente un ometto abbronzato.

È lui a prendere in consegna i lavoratori in prova, forse per anzianità. Fernando ha sui sessant’anni e parla al plurale - «sempre da me vi mandano» - per rassegnazione. «Uno a settimana e poi scappano tutti». Poche istruzioni date con automatismo - guanti, cassette, carrello, cassette sul carrello - e «quello nuovo» si trova a strappare pomodori a iosa in una fila tra le tante.

Un giovane bracciante in un campo del Piano. © CdT/Gabriele Putzu
Un giovane bracciante in un campo del Piano. © CdT/Gabriele Putzu

Le file sono lunghissime, bisogna strappare i grappoli in basso, poi riporli nelle cassette verdi - «girati all’insu, mi raccomando»- scegliendo quelli giusti. Fernando è ruvido nei commenti - «ne lasci troppi indietro! Questi erano buoni!» - e ha un umorismo macabro. Le sue braccia sono verdi per il contatto con i pesticidi: non è pericoloso? «Dopo tre giorni muori» scherza.

In otto anni nella stessa azienda Fernando non è morto, ma ha tutti i motivi per essere «ruvido». Contratto di lavoro regolare, permesso C - portoghese, è da 30 anni in Svizzera - la sua paga non è maggiore di quella offerta ai «nuovi» dopo la prova (gratuita) di tre giorni. Con poche eccezioni i circa 250-300 raccoglitori delle 53 aziende orticole presenti in Ticino ricevono la paga minima: 3385 franchi lordi, circa 2800 netti per un massimo di 55 ore a settimana. La stessa degli stagionali.

Cercasi manovalanza

La maggior parte delle serre ticinesi (45 aziende) sono concentrate nel Piano di Magadino. Nascondono soprattutto pomodori, insalata e zucchine - valgono l’80 per cento della produzione - ma anche problemi cronici come salari bassi e mancanza di personale. In una mattinata abbiamo girato sette aziende tra Quartino e Giubiasco rimediando due offerte di lavoro («puoi iniziare domani», «vieni da settimana prossima») con prove gratuite ma prospettiva di contratto stagionale. Due aziende erano in forse («lasci il contatto, le faremo sapere») e solo tre non cercavano dipendenti. Per essere a metà giugno e senza esperienza nel settore, «zero assoluto», non è andata male.

Il problema è la paga. Le aziende offrono immancabilmente lo stesso salario minimo («non ci rubiamo gli operai l’uno con l’altro» si lascia scappare un imprenditore durante un colloquio) e la conferma è l’assenza rigorosa di ticinesi tra i campi. Nemmeno per sbaglio. Anche l’associazione di categoria Or-Ti non lo nasconde: «I salari della manovalanza sono questi, chiaro che per gli svizzeri sono poco interessanti» ammette il segretario Tiziano Pedrinis. «Generalmente i ticinesi nel settore sono formati e hanno funzioni dirigenziali».

Non si batte la fiacca

Ore 9.00. I braccianti si radunano in un capannone. Timbrano la pausa precisi ‘come orologi svizzeri’ ma vengono dall’Est Europa, Medio Oriente, Portogallo, Italia. Che la paga sia «da fame» lo sanno anche loro e in spogliatoio si sfogano con «quello nuovo». «Togli l’affitto, la cassa malati, la spesa, non rimane niente». «Con questi soldi in Ticino non vivi». Nel distributore di merendine un tramezzino costa 3.60 franchi: gli scaffali sono tutti pieni. «Non compra niente nessuno, guarda che prezzi». Anche l’acqua e il caffè sono a pagamento. Niente mensa da contratto.

L’azienda è di dimensioni medio-grandi e molto organizzata. Ogni bracciante ha un badge. Le pause sono conteggiate al minuto, il piazzale è videosorvegliato e - dicono - chi sgarra sugli orari viene richiamato. In serra è vietato fumare e perdere tempo - «un lavoratore deve fare una serra in un’ora, da solo» sollecita Fernando - e alle 10.00 ci sono già 30 gradi. Ma solo quando il carrello è pieno si può uscire: boccata d’aria, sembra di rinascere.

È pesante anche per i «colleghi» abituati a soli più feroci, scappati da Paesi devastati (ce ne sono: Eritrea, Afghanistan, Sudan) e da drammi ben peggiori. «Qualsiasi cosa è meglio della guerra» sentenzia uno di loro, che con lo stipendio riesce a mantenere moglie e figli nel Paese d’origine. «Per chi ha famiglia qui è più difficile».

I richiedenti asilo sono da sempre un bacino di «braccia» importante per il settore. A collocarli nelle serre è il Soccorso Operaio Svizzero (SOS) ma negli ultimi anni l’offerta è calata. «Quest’anno ci hanno contattato diverse aziende ma non siamo riusciti a fornire personale»spiega Monica Caradonna, responsabile dello sportello di Bellinzona. «Gli asilanti ci sono, ma molti preferiscono fare altri lavori».

«I migranti preferiscono altro»

Come le pioggie e il clima, i flussi migratori hanno un impatto sul raccolto. «In passato i migranti in Ticino provenivano soprattutto dall’Africa e cercavano lavori sotto-qualificati e manuali» spiega Caradonna. «Gli ultimi afflussi riguardano invece persone formate oppure minorenni, in entrambi i casi il settore agricolo non rappresenta un’opzione».

Il terreno è fertile anche per lo sfruttamento. In passato una serie di controlli di polizia - ‘operazione pomodoro’, era il 2009 - hanno portato alla luce un caso di tratta di esseri umani in un’azienda del Piano. Di recente il settore è stato messo in allerta da segnalazioni di abusi salariali - operai pagati 5 franchi all’ora - che finora non hanno trovato riscontri, ma sono state discusse venerdì in una riunione di comitato della Or-Ti. «Ci sono giunte delle voci che stiamo esaminando, riferite da nostri associati» ammette il segretario Pedrinis. «Se anche fosse vero, si tratterebbe di anomalie. Il nostro settore è sano».

«Fortunato chi riesce a pagarli così» è il commento di un membro del comitato dell’Or-Ti. «Se io togliessi un solo franco ai miei operai, si licenzierebbero subito». Ma tra i campi del Piano girano storie diverse. Due lavoratori italiani, ad esempio, raccontano di essersi visti proporre una prova ‘in nero’ di due settimane da un’azienda. Uno afferma di avere lavorato in un alpeggio per sei mesi «senza un giorno libero» con un contratto da 3.300 franchi. «Ma tolte le tasse e l’alloggio mi restavano 1.700 franchi puliti, lavorando 14 ore al giorno».

La sua compagna invece racconta di avere lavorato due mesi senza contratto, nello stesso alpeggio. «Mi sembrava di stare in Calabria, non in Svizzera» commenta. E scendendo a valle il ‘nero’ è più esposto ma non per questo assente. In un campo di zucchine di Cadenazzo un bracciante turco confessa di lavorare senza un pezzo di carta. «Mi pagano in contanti, con un accordo verbale». La cifra è sempre la stessa: quei 3.300 franchi che però, senza assicurazione malattia né infortuni, sono una trappola. «Quando emergono problemi gli accordi verbali si ritorcono sui lavoratori» spiega Monica Caradonna. «In passato abbiamo avuto un paio di casi. Per fortuna sono molto rari». Anche i sindacati dal canto loro ammettono che il settore è difficile da penetrare.

Controllo a sorpresa

Nel frattempo la prova è quasi finita. La stanchezza è diffusa tra i ‘colleghi’ ma nessuno si lamenta. «Questo è niente» scherza un 20.enne portoghese, che prima di trasferirsi in Ticino ha lavorato due anni alla raccolta dell’insalata a Zurigo. Paga: 2.400 netti al mese. «Piegato tutto il giorno, lì sì che viene il mal di schiena». Lavorare in nero? «Ho sentito di persone che lo fanno, in altre aziende. Non fa per me. Se vengono controlli voglio stare tranquillo».

Neanche il tempo di dirlo: dal piazzale arrivano delle voci, c’è un attimo di subbuglio. Due uomini in borghese, poi spuntano degli agenti in divisa. È la polizia cantonale che annuncia un «controllo stagionale»: una quindicina di agenti più i funzionari dell’Ispettorato del lavoro (UIL). I braccianti vengono radunati e poi convocati uno a uno per interviste individuali. Al nostro turno il funzionario dell’UIL resta sorpreso - mansione svolta? reportage giornalistico - e l’intervista si ribalta. «Non posso dire molto, ma per ora non abbiamo riscontrato grandi irregolarità. Faremo delle verifiche sui documenti» spiega l’ispettore. Dopo una mezzora il controllo è finito e le pattuglie si avviano verso la prossima azienda. Noi torniamo alle serre tra risatine e commenti amari - «quando mi hanno chiesto la paga mi sono vergognato» scherza qualcuno - ma dopo la sessantesima cassetta riempita viene anche per La Domenica il momento di andarsene. È stato bello ma non è il nostro mestiere. «Faticoso, eh?» sorride Fernando e porge la mano. Chissà perché non sembra troppo sorpreso.

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