Politica

La Lega sull'ottovolante

Il nuovo comitato esecutivo non incanta i leghisti della prima ora: «Difficile individuare un leader»
Andrea Stern
Andrea Stern
29.05.2022 12:00

Non più un presidente a vita, non più un coordinatore-traghettatore, non più un manipolo di colonnelli. Da domenica scorsa sono 8 le persone alla guida della Lega dei Ticinesi. Un ottovolante di sette uomini e una sola donna, la tanto amata Sabrina Aldi.

«Vi sembra strano che io non ci sia? - reagisce Roberta Pantani, municipale di Chiasso ed ex consigliera nazionale -. Se ci fossi stata, qualcuno mi avrebbe accusato di voler fare tutto io. È giusto lasciare spazio ad altri. Con queste otto persone credo si sia trovata la giusta rappresentanza del territorio. Vedrete che alle prossime elezioni andremo benissimo».

Un entusiasmo che si fa decisamente più sfumato tra i leghisti della prima ora. Tra quei 12 apostoli di Giuliano Bignasca con cui nel 1991 la Lega entrò per la prima volta in Gran Consiglio, sconvolgendo i consolidati equilibri della politica cantonale.

Trascinati dal Nano

«Eravamo tutti insofferenti verso i partiti storici - ricorda Bertino Bernasconi - e ci lasciammo trascinare dal Nano. Era un personaggio, oltre che per me un caro amico, siamo cresciuti insieme. In quei primi anni eravamo molto motivati, io mi sono impegnato dietro le quinte per attirare nuovi leghisti, per creare delle sezioni nei comuni. Ho fatto il Gabibbo. Ho preso botte e sono finito anche in carcere per la carovana della libertà».

Tempi andati. «L’entusiasmo si è raffreddato quando ho visto che per raccattare voti si è iniziato a mettere in lista gente di Comunione e liberazione o di famiglie liberali radicali - prosegue Bernasconi -. A me sembrava un tradimento dei nostri ideali. E in effetti piano piano la Lega è finita per diventare un partito come gli altri».

Oggi Bertino Bernasconi, classe 1945 come il Nano, guarda alla politica con disillusione. «Alla mia età sono costretto a lavorare perché con la mia misera pensione non sopravvivo - spiega -. Sono deluso da tutti i politici, leghisti compresi. Non c’è riconoscenza, non c’è un’autentica volontà di aiutare i cittadini. Pensano tutti solo ai propri interessi».

I cani sono più sinceri

Si è allontanato dalla politica anche Dino Baccalà, un altro dei primi dodici deputati leghisti. Oggi, a 69 anni, gestisce un rifugio sopra Cimalmotto, in alta Vallemaggia. «Ormai la politica la seguo da lontano. Ma mi sento ancora leghista - dice -. La Lega ha il merito di aver rotto certi equilibri che c’erano nel Cantone, di aver riavvicinato la politica al popolo, obbligando anche gli altri partiti a scendere dal pero».

Baccalà faceva il muratore quando venne eletto in Gran Consiglio. «A Bellinzona rimasi sorpreso nel vedere che quando parlavano i soliti noti, come il Paglia o il Righinetti, i deputati stavano tutti al bar - ricorda -. Tanto che in occasione delle votazioni bisognava richiamarli altrimenti non si sarebbe raggiunto il quorum. Quando invece prendeva la parola Flavio Maspoli, erano tutti lì ad ascoltarlo. Era un grande oratore, sapeva entrare nel cuore dei problemi».

Aveva carisma. «Oggi è difficile individuare un leader nella Lega - osserva Baccalà -. Il figlio del Nano non lo conosco bene ma mi sembra un po’ debole a livello di comunicazione. Claudio Zali dovrebbe essere più schietto, sul tema del lupo è stato un po’ deludente. Norman Gobbi viene criticato per i radar e perché ha potenziato la polizia, però d’altra parte io vedo che qui in Vallemaggia sono diminuiti sia gli incidenti, sia i furti. Lorenzo Quadri esprime posizioni che fa piacere sentire, però anche lui non è un leader. Le picconate della Lega non sono più quelle di una volta. L’unica consolazione è che questa crisi di carisma riguarda tutti i partiti. Non mi sembra che gli altri stiano meglio».

Si sta meglio in montagna, a 1.500 metri di quota. «Piuttosto che fare politica, preferisco stare qui a lavorare con i cani, che sono più sinceri», conclude Baccalà.

La cosa più bella? Mia moglie

Non un giudizio lusinghiero da parte di chi è stato tra i 90 di Palazzo delle Orsoline. Insieme ai fratelli Remo e Sandro Pelloni, il primo dei quali prematuramente deceduto nel 1995 allorquando ricopriva la carica di vicepresidente del Gran Consiglio e avrebbe quindi potuto diventare primo cittadino.

«Fu mio fratello Remo a disegnare lo stemma della Lega - ricorda Sandro Pelloni -. Lo mostrò al Nano, che ne fu subito entusiasta. Ancora oggi per me la bandiera della Lega ha un significato particolarmente profondo».

Nel 1991 Sandro Pelloni fu il terzo leghista più votato, dietro a Flavio Maspoli e Attilio Bignasca, davanti a Decio Pio Brunoni e Antonella Bignasca. «La Lega nacque essenzialmente per rispondere a due problemi: Silvio Tarchini e le casse malati - ricorda Pelloni -. Giuliano Bignasca e io eravamo come due tori. Lui vedeva rosso quando si parlava di Tarchini, io quando c’erano in ballo le casse malati».

Pelloni vide rosa quando in Gran Consiglio il suo sguardo incontrò quello della deputata PLRIna Piattini. «La nostra relazione venne vista come uno scandalo politico - ricorda -.Per me l’incontro con mia moglie è stato il più bel momento dell’esperienza parlamentare».

In seguito Pelloni dovette affrontare una lunga traversia giudiziaria, durata quindici anni e conclusasi con un risarcimento milionario. «Mia moglie dice che se non avessi fatto politica per la Lega, non avrei subito tutto quell’accanimento - sostiene -. Non è dimostrabile. Ma è chiaro che all’epoca la Lega dava tanto fastidio ai partiti storici, che si vedevano ridimensionare il loro strapotere».

Nonostante sia da tempo lontano dalla politica, il dottor Pelloni è rimasto fedele ai suoi principi. «A livello caratteriale sono ancora leghista, lo spirito non è cambiato - afferma -. Sono una persona libera che ama dire quello che pensa senza preoccuparsi di difendere gli interessi di taluno o talaltro».

Caratteristiche che secondo Pelloni si possono ancora trovare nel movimento di via Monte Boglia. «Per esempio in Lorenzo Quadri - dice -. All’inizio ero scettico su di lui, oggi lo apprezzo molto. In tanti lo attaccano, ma lui va avanti sulla sua strada, senza preoccuparsi delle critiche. Stimo molto anche i due consiglieri di Stato. Li conosco bene entrambi e sono felice che la Lega possa averli in governo».

La forza non è il leader

Nessuno di loro può essere definito un vero leader, ma forse va bene anche così. «Io penso che il leader debba essere qualcuno che non ricopre cariche istituzionali, in modo da mantenere un certo distacco - afferma Renza De Dea, un’altra leghista della prima ora -. Così su due piedi l’unico nome che mi viene in mente è quello di Antonella Bignasca, che ha sicuramente le capacità e la tempra per un lavoro del genere».

Ma non l’interesse. «Mi basta il ruolo di editore del Mattino della Domenica», si inserisce la figlia di Attilio Bignasca.

Bisogna quindi cercare altrove. De Dea si dice convinta che un capitano dovrà essere trovato. Senza tuttavia lasciarsi abbattere dalla sua assenza. «La forza della Lega è la sua vicinanza ai cittadini - dice -. La Lega non è un partito come gli altri che ha bisogno di strutture rigide e definite. La Lega è un modo di vivere, uno spazio dove gli spiriti liberi come me possono trovarsi a casa».