La sicurezza al di là delle statistiche

Sono trascorsi sei anni da quella sera in cui il Sindaco Marco Borradori e una delegazione del Municipio avevano incontrato i cittadini nella sala del Consiglio Comunale. Ero tornato da poco a vivere in centro e le prime sensazioni - per quanto credessi che il profondo senso di appartenenza ai luoghi d’origine fosse più forte di qualsiasi possibile elemento di disturbo - non erano particolarmente incoraggianti.
Mi era quindi sembrata un’occasione molto interessante per confrontare le mie impressioni dopo un lungo e seppur estemporaneo soggiorno in una delle cosiddette zone residenziali e frequentissime evasioni in giro per il mondo con la realtà che stavo per riscoprire. Ricordo benissimo temi e toni della discussione: viabilità, rumore e sicurezza affrontati sulla base delle diverse esperienze individuali. E poi le spiegazioni e i tentativi di rassicurazione, inevitabili e lodevoli ma invero assai poco convincenti. Il mio piccolo contributo fu di segnalare - con una certa enfasi e con qualche immagine evocativa magari piuttosto forte, come mi fu poi detto - la crescente percezione di insicurezza nelle ore notturne nel perimetro tra la pensilina, il quartiere Maghetti e le vie adiacenti.
Purtroppo la geografia dei fatti di cronaca di questi anni, sino all’ultimo episodio di grave violenza di gruppo nei confronti di un giovane, è lì a dimostrare che non furono riflessioni avventate. Chiunque conosca Lugano - e conoscere in questo caso significa girare frequentemente per certe strade attorno alla mezzanotte - sa benissimo che i problemi nascono e quindi possono esplodere soprattutto proprio in quel preciso settore. Altrove è ovviamente sempre in agguato il fattore non trascurabile della casualità, ma in quel quadrato le probabilità che capiti qualcosa sono costantemente molto elevate.
Le statistiche che premiano Lugano come una delle città più sicure della Svizzera non sono di alcun conforto: la percezione di insicurezza, o anche solo di disagio, non la si può misurare rispetto a parametri assoluti o con paragoni tra situazioni oggettivamente molto peggiori. E se non la provi sulla tua pelle - proprio come i rumori molesti - rischi di considerarla un po’ un’esagerazione da parte di chi non riesce ad accettare di convivere con le situazioni tipiche di qualsiasi centro urbano. Peccato che spesso chi porta argomentazioni di questo genere non esca quasi mai di casa a Cadro, Gentilino o Mezzovico dopo il tramonto…
Se l’elemento esperienziale è dunque decisivo in un ambito cosi delicato, altrettanto importante dovrebbe essere l’atteggiamento delle istituzioni. Senza entrare nel merito del consueto scaricabarile tra politica, magistratura e polizia su ruoli e responsabilità - in stile abbattimento del macello, di cui prima o poi vorremmo tra l’altro poter leggere l’ultimo capitolo - mi permetto una semplicissima considerazione: se sappiamo come sappiamo quali e dove sono le maggiori criticità perché non predisponiamo una strategia di protezione preventiva? Basterebbero magari un paio di auto della polizia stabilmente stazionate nel tetro scenario notturno della pensilina invece che di ronda sui tornanti della Val Colla e delle pattuglie di agenti a piedi o in bicicletta per le vie del centro. Immagini assolutamente ricorrenti in tutte le città del mondo ma non a Lugano.
Nell’hockey si dice che si deve essere pronti ad «andare dove fa male». Ecco, sarebbe forse il caso di accorgersi che anche le forze dell’ordine sono impiegate con maggior frequenza laddove il rischio è più alto prima che accada il peggio. Il controllo preventivo e mirato del territorio è l’unico strumento che può realmente contribuire a evitare problemi come quello di una settimana fa. Al giovane aggredito non interessano il nostro quadro legislativo né le conseguenze che affronterà chi lo ha picchiato: gli sarebbe bastato vedere un paio di uniformi a portata di richiesta d’aiuto.