Società

La storia del pulcino «piccolo e nero»

Intervista a Marco Pagot, il «figlio d'arte» la cui famiglia ha dato vita a Calimero e Grisù
Giorgia Cimma Sommaruga
17.07.2022 15:56

Classe ’57, è nato a Milano. Oggi vive tra Parigi, Lugano e la sua città natale. È cresciuto sotto la guida di papà Nino e zio Toni, pionieri dell’animazione italiana, dove ha imparato tutte le fasi delle lavorazioni del disegno animato. È figlio d’arte, dunque. Anche se la passione per il disegno l’ha assaporata lentamente. «A fare la differenza nella mia carriera è stata la determinazione». È entrato in azienda giovanissimo, a 13 anni, e solo due anni dopo ha perso il padre. E per tanti personaggi animati è iniziata una nuova era, quella di Marco Pagot.

Le origini: i fratelli Pagot

Chi non ricorda Calimero, il pulcino «piccolo e nero»? E Grisù, che sognando di diventare pompiere dava scandalo nella sua famiglia, formata da draghi incendiari? I padri di questi iconici personaggi, che hanno fatto sognare generazioni di bambini, sono appunto i Pagot. Nino e il fratello minore Toni. «Tutto nasce con mio padre a cui si aggiunge poi subito mio zio - racconta Marco Pagot -. Papà inizia nel settore dell’illustrazione. Aveva una forte passione per l’immagine e inizia a collaborare con i grandi nomi dell’epoca sui giornali. Era geniale. Ebbe addirittura la prima pagina del primo numero del Bertoldo (una rivista periodica di umorismo e satira milanese)». Ma la passione di Nino non si fermava all’illustrazione, lui quei disegni voleva vederli animati, in movimento. «I suoi primi esperimenti di animazione risalgono al 1927, prima di Walt Disney - spiega suo figlio -, ma le difficoltà erano molte perché non esisteva l’attrezzatura». E allora ecco che, buon sangue non mente, in aiuto giunge suo padre, «e costruisce la prima macchina da presa».

Quella volta in cui…

Nino e Toni Pagot erano ambiziosi, tant’è che dopo i primi esperimenti si mettono in mente di realizzare un lungometraggio. Nel 1938 nasce la PagotFilm, che cambierà poi nome nel 1972, alla morte di Nino, quando subentrarono Marco e Gina, i suoi figli. Ma riannodiamo i fili del racconto: tra la Prima guerra mondiale, e la Seconda poi, i Pagot non demordono. «Ricordo ancora quando, in una Milano assediata dalle truppe tedesche, mio padre scritturò come disegnatori un folto gruppo di ebrei, per sottrarli alla deportazione». Una volta terminato il conflitto, i Pagot nel 1949 mandano in sala «I fratelli Dinamite», il primo lungometraggio d’animazione in Italia che narra le sconclusionate disavventure dei tre fratelli Din, Don, Dan. «Ma si sono resi conto che le difficoltà erano molte, servivano grandi attrezzature. Per fortuna - continua Marco - nei primi anni ’50 si apre un nuovo mercato, quello della pubblicità cinematografica». E così i due si lanciano nella nuova avventura, «diventando non solo dei pionieri, ma anche dei maestri, vincendo anche molti premi a livello internazionale».

Arriva Carosello

Poi nel 1957 è il momento di Carosello. Oggi lo chiameremmo un programma pubblicitario. All’epoca era una grande innovazione, un appuntamento immancabile, atteso, che teneva grandi e piccoli incollati allo schermo. «Con l’arrivo di Carosello lo studio dei miei si ingigantisce, davamo lavoro a più di 100 persone tra disegnatori e maestranze. Ma mio padre sapeva che questa realtà non poteva durare. E con la chiusura di Carosello è iniziato un nuovo capitolo della loro attività».

Calimero il pulcino nero

La nuova pagina ha un titolo: Calimero. La prima serie di animazione italiana. Ma com’è nato? «È stata una intuizione di mio padre. Dopo tanti anni di pubblicità la ditta aveva bisogno di creare la sua identità, e il personaggio di Calimero era perfetto per questo. Inoltre si voleva lanciare qualcosa che non era mai esistito». Calimero fu un successo mondiale, dopo la presentazione a Cannes, in Francia, fu acquistato e distribuito in 30 Paesi diversi. «Penso che l’idea iniziale di rivolgersi alle mamme sia stata geniale. Erano loro il mercato che interessava a mio padre. E allora cosa intenerisce le mamme? I cuccioli, poi se sono sfortunati a maggior ragione emozionano. E un cucciolo sfortunato, solo e indifeso, allora era la risposta per soddisfare questa lacuna di mercato. Cosi è nato Calimero, un successo mondiale».

Le donne della mia vita

«Il mio percorso - racconta Marco Pagot - nasce dalla volontà di voler continuare la storia di papà e mio zio. Impresa non facile visto il loro grande successo, ma la mia determinazione mi ha aiutato molto». Tuttavia dopo l’era di Nino e Toni, per la famiglia di artisti milanesi con origini venete, si apre un nuovo capitolo. Dove le donne hanno giocato un ruolo da protagoniste. «Dopo la morte di mio padre nel ’72, mia mamma si trova davanti ad un scelta determinante per il futuro della ditta». La signora Pagot era una sarta di successo negli anni ’70, la sua «bottega» in Montenapoleone «vantava come clienti tutte le signore della «Milano bene». Zio Toni non era propenso a continuare l’attività di famiglia, e infatti poi è andato a fare l’illustratore per riviste e giornali. «Marco tu cosa vuoi fare da grande?», mi chiese un giorno mia madre, «Quello che facevano papà e zio». Senza indugiare mia mamma ha chiuso la sua attività, ha rilevato la ditta Pagot facendo un patto con lo zio prima di lasciarlo andare: «Insegnerai a Marco tutto quello che c’è da sapere».

«Grazie Gina»

«Mia sorella ha contribuito a suo modo al successo dei Pagot», spiega Marco. «Voleva diventare un medico ma disegnava e scriveva divinamente. Io dico sempre che lei è un Mozart e io un Salieri, lei è piu geniale di me, io più tignoso». Il mondo dell’animazione cambia radicalmente negli anni ’80. Iniziano ad arrivare i filmati giapponesi. La Rai prende una decisione per guadagnarsi mercato: «Portiamo le nostre opere in Giappone e facciamo delle coproduzioni per abbattere i costi». Sono questi gli anni in cui Marco conosce un personaggio molto importante per la sua crescita professionale, Luciano Scaffa. «Chiese a tutti gli studi italiani dell’epoca come Bozzetto, Gamma, Pagot, di preparare progetti da portare in Giappone. Il mio era Sherlock Holmes. Progetto che non nasce solo da me, sia chiaro, è stata una stretta collaborazione con mia sorella Gina. Con Scaffa poi ci furono molte altre collaborazioni, lui ha creduto molto in me».

«Bruciavamo un traduttore al giorno»

In Giappone Marco Pagot ci è andato, ed è stato accolto con entusiasmo. «Tutti conoscevano Calimero, e Sherlock Holmes era piaciuto molto perché aveva linee diverse da quelle giapponesi, presentava tratti molto inglesi. È stato lì che ho conosciuto Hayao Miyazaki, un artista geniale». E dalle animate discussioni con Miyazaki, «parlavamo e discutevamo talmente tanto che dopo una giornata con noi le traduttrici si davano malate, erano totalmente fuse», scherza Pagot, il progetto si è concretizzato ed è nata ufficialmente la prima coproduzione con il Giappone.

Luciano Scaffa

«Quando sono andato in Giappone la prima volta «gareggiavo» con studi di grande successo come Gavioli e Bozzetto - spiega Pagot -, ma più che Calimero, una cosa è stata determinante per l’assegnazione della mia produzione: ancora una volta la mia determinazione». Luciano Scaffa lavorava alla programmazione Rai tutto l’anno, e nel periodo estivo si dedicava a ciò che più gli piaceva: la parte creativa. «Era il mese di agosto, in Italia tutti gli studi erano in ferie, ma io non ci ho pensato due volte, ho preso il volo e sono andato in casa TMS (lo studio di produzione giapponese) a presentare Sherlock Holmes. Così Scaffa ha capito che poteva contare su di me».

Porco rosso

Porco Rosso non un è insulto ma il titolo del film realizzato da Miyazaki, una pellicola di animazione che ruota attorno a un aviatore della Prima guerra mondiale tramutatosi in un maiale antropomorfo. Il nome del protagonista? Si chiama Marco Pagot. «Dopo Scherlock Holmes, Miyazaki ed io siamo diventati amici. Una volta mi scrisse: «Voglio fare un film sull’Italia». E qualche tempo dopo: «Sono a Milano, ci vediamo?». Così lo invitai a casa mia, pranzammo assieme, e poi lui continuò il suo viaggio». È stato solo dopo qualche tempo che Pagot fu contattato da una traduttrice conosciuta ai tempi dei primi incontri in TMS, «Marco Hayao ha prodotto un film, si intitola Porco Rosso, e il suo protagonista Marco Pagot». Inizialmente non ne fui così felice ma poi realizzai che per la cultura giapponese il porco è un animale estremamente positivo, e poi quando vidi il film, beh ne fui estasiato. Un grandissimo omaggio visto che la «bella» del film si chiama Gina, come mia sorella».