Il commento

La storia dello schermo più grande del mondo

Una lettera del suo ideatore racconta come è nato e come mai è l'unico elemento del Pardo che non può essere messo in discussione
Giò Rezzonico
18.08.2024 06:00

Giustamente la nuova presidente del Locarno Film Festival, la principale manifestazione culturale della Città Ticino, mette in discussione tutte le scelte passate e verifica se sono ancora valide per affrontare il futuro. Ha fatto per esempio molto discutere l’idea di una possibile anticipazione della rassegna al mese di luglio.

Penso ci sia un solo elemento del Festival che non possa essere messo in questione: le proiezioni in Piazza Grande sul più grande schermo all’aperto del mondo. Il grande schermo, che è stato all’origine del rilancio della manifestazione negli anni Settanta, è infatti diventato il simbolo del Festival. Ordinando l’archivio di mio padre mi è giunta recentemente tra le mani una lettera inviatagli dall’architetto Livio Vacchini, l’ideatore dello schermo in Piazza Grande. La missiva, datata 29 settembre 1984, è in risposta a una telefonata di mio padre che si complimentava con Vacchini in occasione del quindicesimo anniversario del Festival in piazza, per aver avuto la geniale idea che ha permesso di salvare la rassegna. Mio padre fu tra i pochi ad innamorarsi all’istante dell’idea di Livio: «Tu Raimondo eri la mia ancora di salvezza, frenavi ogni polemica sulla stampa, avevi fiducia e me lo dimostravi».

Ecco la lettera in cui Livio descrive «l’emozione del suo primo Festival in piazza».

«Mi telefonò un giorno Giudici (eravamo in maggio) e mi disse che il Festival era ormai clinicamente morto ma che s’intendeva intraprendere un ultimo intervento di rianimazione riportando lo spettacolo all’aperto. Altrimenti si sarebbe chiuso per sempre.

«Da alcuni mesi il nuovo comitato ne parlava e si pensava ad un paio di possibilità che però non convincevano. Una di queste era il parco della Pace (parere quasi unanime ma problema moscerini) ed un’altra allo Stadio del Lido (Pozzi).

«Il comitato riteneva però che prima di lanciarsi in una di queste due direzioni, bisognasse seriamente esaminare la possibilità di sistemare il Festival in città e più precisamente entro il perimetro del centro storico. Si pensò ai due architetti che a quel tempo si occupavano della pianificazione del centro storico: Snozzi e Vacchini.

«Infatti, chi meglio di loro conosceva tutti i luoghi interessanti della città? Naturalmente si fece allusione alla Piazza non tanto alla parte antica ma a Largo Zorzi.

«Questo fu più o meno il discorso che Giudici mi tenne al telefono. Appesi il ricevitore, lo staccai di nuovo e chiamai Snozzi. Gli dissi: «C’è da portare il Festival in Piazza Grande, ci stai?». Avevamo appena interrotto la nostra attività professionale in comune e mi rispose: «Occupatene tu, io ho da fare. Però ci possiamo trovare fra cinque minuti in Piazza per parlarne».

Così fu.

«Mezz’ora dopo che ebbi a parlare con Giudici, avevo con Snozzi già definito la posizione dello schermo. A nessuno sembrava fosse un’operazione destinata a marcare un segno importante nella storia della città. A nessuno, all’infuori di me.

«Mi buttai sul lavoro con una passione, un coraggio ed anche un’incoscienza che solo l’età mi poteva garantire.

«È stato senza ombra di dubbio il lavoro più emozionante e più difficile che abbia mai fatto. Ricordo che in quest’impresa mi fu di grande aiuto il lavoro dell’arch. Moro che a quel tempo lavorava nel mio ufficio.

«Tutti tacevano. Tu Raimondo eri l’unica persona che mi telefonava, che viveva questo rischio tremendo. […]

[…] «Altrimenti, l’indifferenza più totale. Se fosse andata male sarebbero stati grossi guai! E bisogna dire che non poteva andare bene, non poteva essere un successo alla prima edizione. Bisognava avere pazienza. La spesa fu notevole: Fr. 240’000.-. […]

[…] «Le prime reazioni furono entusiastiche da parte degli architetti (numerose furono le pubblicazioni sulle riviste specializzate internazionali), tiepide da parte della stampa in generale, ostili da parte della sinistra, indifferenti da parte degli uomini di cultura. […]

[…] «Tutti indistintamente mi presero per pazzo furioso e se si poté fare fu solo perché il tempo stringeva (due mesi a disposizione) e non c’era tempo per riflettere. […]

[…] «Due erano i motori di questo entusiasmo: far vivere la città e la sua gente e fare lo spettacolo. Ora che vedo la Piazza stracolma di gente mi sento felice ed appagato. Ora che il cinema è tornato spettacolo di massa, mi sento soddisfatto».

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