La vida en rosa
Fabio Aru, nel corso della sua decennale carriera professionistica conclusasi a 31 anni lo scorso mese di settembre, ha indossato tre maglie: la rossa della Vuelta spagnola per 7 giorni, la gialla del Tour de France per 2 e la rosa del Giro d’Italia per 1 giorno. Di origine sarda, da gennaio 2015 residente a Lugano, lo abbiamo raggiunto per farci raccontare il Giro d’Italia dal suo punto di vista, quello di un ciclista che ha visto la «rosa» da vicino e ne ha assaporato il profumo.
«Quanto affetto in giro»
Fabio Aru traduce la parola Giro con Emozione. «Ricordo la mia prima partecipazione al Giro, nel 2013, con partenza da Napoli. Un’emozione incredibile. E poi la penultima tappa, con arrivo alle Tre Cime di Lavaredo. Memorabile il percorso sotto la neve il 25 maggio». Un quinto posto di tappa per il gregario di Vincenzo Nibali, che si involava verso la conquista di quella frazione e della “rosa” finale. Preludio al 2014. «In quell’anno ho vinto la 15. tappa con arrivo a Plan di Montecampione, la mia prima vittoria in carriera».
A parte quella delle vette, quale aria si respira percorrendo la Penisola in lungo e in largo? «Non sono mai potuto partire dalla mia terra, la Sardegna, ma in generale ricordo il grande calore trasmesso dalla gente sulle strade». Un episodio significativo. «L’ultima tappa con partenza da Torino direzione Milano del 2015. Fuori dal bus della mia squadra, cento e più tifosi ad aspettarmi e che vedendomi hanno cominciato ad incitarmi e a gridare».
Seguirà l’edizione numero 105 del Giro d’Italia? «Nel limite dei miei impegni lo guarderò. Al momento non ho in mano le chiavi per dare pronostici, ma mi aspetto una corsa spettacolare, come sempre».


Tre corse, una bellezza
Nato sportivamente correndo con la mountain bike, già rampichino, Fabio Aru sulla strada si è distinto come scalatore. Ne ha scalate tante, di vette. Ne ha macinati molti, di chilometri, dalla penisola italiana, alla Francia, alla penisola iberica. Gli chiediamo di caratterizzare i tre grandi giri, uno dei quali, la Vuelta, egli ha vinto nel 2015.
«Il Giro di Spagna si svolge in una terra che adoro. Un percorso nervoso, in un Paese che personalmente adoro. Nel corso degli anni i tifosi spagnoli mi hanno sempre sostenuto con molto calore».
Che dire del Tour de France? «Il Tour, lo si sa, è uno degli eventi più importanti del mondo, dal grande seguito mediatico, spettacolarizzato». Un commento poco tecnico, quello del ciclista, che si spiega così. «Sono stato un corridore particolarmente adatto alle gare a tappe, e sinceramente, le ho ammirate e apprezzate tutte e tre, mi riesce davvero difficile dire quale sia la più dura, quale la più bella».
Poi, certo corre nella propria nazione non lascia indifferenti. «Il Giro è il Giro, da italiano correrlo mi ha sempre toccato in modo speciale. Conoscevo i nomi delle grandi salite, delle quali avevo sempre sentito parlare». Poi le ha percorse. «Il Mortirolo, lo Stelvio, il Gavia, lo Zoncolan…». E le citate innevate Tre Cime di Lavaredo.


Con la bicicletta in mano
Appesa la carriera ciclistica al chiodo, Fabio Aru è rimasto con la bicicletta in mano. «Ho smesso di gareggiare a livello professionistico ma non ho abbandonato quello che per anni è stato il mio strumento di lavoro». Anzi. «Smesso di gareggiare, ho capito ancor di più di essere uno sportivo dentro. Continuo ad andare in bicicletta 3-4 volte a settimana e se non salgo sulla bici corro». E ancora: «La mia attività sportiva si è ridotta di un terzo - dice -, il peso invece è salito di 4 o 5 chiletti», commenta sorridendo.
Se il tempo libero lo dedica alla compagna e alla loro figlioletta di due anni e mezzo, l’altro tempo si riempie di una nuova attività. «Lavoro come ambassador per tre aziende del ramo ciclistico, una delle quali attiva nel settore delle mountain bike. Una sorta di ritorno alle mie origini ciclistiche». A ciò si aggiungono progetti a St. Moritz, in quella Svizzera che Fabio Aru ha imparato a conoscere meglio da gennaio 2015, quando ha deciso di trasferirsi a Lugano per vivere, e per rimanerci.