Economia

L'acciaio russo ha salutato Lugano

La guerra in Ucraina ha colpito una parte del commercio di materie prime e, di riflesso, una delle sue principali piazze elvetiche
© MARK
Davide Illarietti
20.11.2022 07:00

L’ultima in ordine di tempo a sbaraccare è stata la Sevrestal di Manno. Nella Galleria di via cantonale 2 il colosso dell’acciaio russo, di proprietà dell’oligarca Alexey Mordashov, dava lavoro a una ventina di persone. L’ufficio al primo piano è stato liberato a settembre - ora è occupato dai corsi di infermieristica della Supsi - ma le attività di trading sono cessate ad aprile, dopo che Mordashov è stato colpito dalle sanzioni della Seco. «Era semplicemente diventato impossibile operare» racconta un’ex dipendente di nazionalità russa. «Alcuni collaboratori hanno trovato un altro impiego, altri sono stati licenziati». Per lo più si trattava di personale svizzero e residente. La nostra interlocutrice è rimasta in Ticino e lavora nello stesso settore, ma non tratta più acciaio russo.

Sevrestal, Mmk e Nlmk

Nel commercio di materie prime la piazza di Lugano (e dintorni) resta una delle principali in Svizzera assieme a Zugo e Ginevra. La guerra in Ucraina ha colpito una parte del mercato. Mercoledì sera all’assemblea annuale organizzata a Palazzo Civico dall’associazione di categoria, la Lugano Commodity Trading Association (LCTA), l’atmosfera era comunque positiva. «Risultati record» sono stati prennunciati per l’anno in corso dai «big» del settore presenti in sala, una ventina di aziende attive nel ramo petrolifero, energetico e del gas oltre che dell’acciaio. Le grandi assenti per la prima volta erano proprio le società russe. Non per maleducazione ma perché, in effetti, molte non sono più presenti in Ticino o non fisicamente.

Oltre alla Sevrestal - per esteso Sevrestal Export Gmbh, succursale del principale gruppo siderurgico russo - a pochi chilometri di distanza ha chiuso i battenti nel corso dell’anno anche la Mmk Steel Trade, a Pazzallo dal 2002. Anche qui i dipendenti erano una ventina.

Il racconto degli ex dipendenti

«Quando è arrivata la notizia dell’invasione dell’Ucraina è iniziato il fuggi fuggi» racconta una degli ex dipendenti. «C’è stato fatto intendere che era ora di trovare un altro lavoro». Anche lei ora a un altro impiego ma ha dovuto cambiare totalmente settore, dopo quasi 20 anni nella stessa ditta. «È stato brutto ma non avevo altra scelta. Nel ramo dell’acciaio in Ticino non è semplice riciclarsi in questo momento». I potenziali datori di lavoro diminuiscono, specie per chi proviene dal mercato russo. Il proprietario della Mmk, il miliardario Viktor Raschnikov, è finito a marzo nella black list di Berna. La Nlmk, altro colosso russo dell’acciaio con filiale sul Ceresio, a Paradiso, ha ridotto notevolmente le sue attività. Anche se non è stata colpita direttamente dalle sanzioni - il proprietario Vladimir Lisin ne è esente, finora - il bando all’acciaio russo in vigore in Europa e Stati Uniti ha di fatto svuotato il canale ticinese della materia prima.

Verso Dubai e Istanbul

E il problema non riguarda paradossalmente solo le aziende russe, ma anche quelle ucraine presenti sulla piazza del trading ticinese. Danneggiate dalla guerra da un punto di vista logistico-organizzativo - o indirettamente, per compartecipazioni societarie da parte di aziende russe - la maggior parte hanno di fatto cessato di operare, secondo la Lugano Commodity Association. Nel complesso sono una quindicina le società ticinesi esposte in Ucraina e in Russia: l’anno scorso davano lavoro a un centinaio di persone in tutto. Ma l’impatto della guerra sull’occupazione e sul fatturato si conoscerà solo con l’indagine congiunturale dell’anno prossimo.

Quello che è sicuro è che l’acciaio russo continua a essere venduto e comprato. Ma non più a Lugano né in Svizzera. Le transazioni ora - spiegano gli addetti ai lavori - passano da Dubai e Istanbul, dove tutte le aziende sopracitate hanno aperto nuove succursali per continuare a commerciare con i mercati ancora aperti. Sostanzialmente con la Cina e altri paesi asiatici. «Si tratta di transazioni visibili a tutti gli operatori del settore» spiega il presidente della Lcta Marco Passalia. «Non è niente di illegale. Le operazioni vengono finanziate da banche turche o emiratine e approvate dalle rispettive autorità di vigilanza. Semplicemente non passano più dal Ticino». Se poi le trattative vengano svolte effettivamente a Dubai e Istanbul, oppure «da remoto» appoggiandosi a delle bucalettere, è tutto da vedere. Al registro di commercio ticinese tutte e tre le società russe risultano ancora attive almeno formalmente. Vuote e congelate, forse, in attesa di tempi migliori.

In questo articolo: