L'altruismo stringe la cinghia in Ticino

La deputata Daria Lepori andrà in pre-pensionamento tra un mese: potrà dedicarsi interamente alla politica (nel 2026 dovrebbe diventare presidente del Gran Consiglio) ma non verrà sostituita nel suo ruolo di rappresentante dell’Azione Quaresimale in Ticino. Il suo lavoro part-time verrà «assorbito» oltre Gottardo, come succede ed è successo a diversi impieghi del settore no-profit negli ultimi tempi. «I tagli alla cooperazione decisi dal parlamento stanno purtroppo costringendo molte realtà a ottimizzare ancor più le risorse e anche noi dobbiamo essere molto oculati» spiega la collega Federica Mauri, che rimarrà l’unica collaboratrice (in passato erano tre, a tempo parziale) attiva stabilmente in Ticino. L’organizzazione è presente nelle tre regioni linguistiche e «vuole continuare a esserlo perché non ci occupiamo solo di raccolta fondi, ma anche di sensibilizzare la popolazione, un lavoro per noi molto importante» spiega Mauri.
Il Consiglio federale stringe i rubinetti
Le ultime «sforbiciate» decise dal Consiglio federale e poi - più lontano, but not the least - dall’amministrazione Trump, hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Le stime della Federazione delle ONGdella Svizzera italiana (FOSIT) sono di un calo di circa il 10.5 per cento dei finanziamenti federali distribuiti da Berna a Sud delle Alpi e assegnati tramite concorso dalla stessa FOSIT. Importi relativamente piccoli ma, in un settore che vive di impieghi metà tempo (o meno) e tanto volontariato, contano eccome. Anche perché si sommano - anzi sottraggono - a un disimpegno del pubblico più generalizzato e duraturo.
In gergo si chiama «de-regionalizzazione» e in pratica significa «la centralizzazione del maggior numero di funzioni da parte delle organizzazioni più grandi, con lo scopo ultimo di toccare il meno possibile i progetti all’estero» spiega Rodolfo Penne di Helvetas. Fino al 2020 l’organizzazione svizzera di cooperazione allo sviluppo aveva quattro collaboratori in Ticino: adesso Penne è rimasto da solo. «La scelta è stata quella di concentrarsi maggiormente sul focus all’estero, a scapito delle campagne di sensibilizzazione sul territorio che restano comunque importanti e in futuro si spera verranno di nuovo potenziate» sottolinea Penne. «È stata comunque una decisione obbligata, dovuta alla riduzione dei contributi pubblici al settore».
Chi ha chiuso i battenti
In alcuni casi i provvedimenti sono stati ancora più drastici. Altre organizzazioni come Education 21 e Alliance Sud hanno chiuso del tutto i propri segretariati in Ticino negli ultimi anni (Alliance Sud nel 2023, a seguito del pensionamento dell’ultima collaboratrice). «Il nostro è già di per sé un settore poco professionalizzato, per lo meno in Ticino dove a differenza di altre realtà, come ad esempio Ginevra, le persone che hanno fatto della cooperazione il proprio mestiere sono sempre state poche» sottolinea Alessandra Genini di Comundo. Nell’ufficio di Bellinzona l’organizzazione impiega quattro persone (part-time) ma a fine anno ha dovuto tagliare una piccola percentuale d’impiego (20 per cento) proprio a fronte dei tagli annunciati da Berna. «Per ora siamo riusciti a contenere gli effetti e in qualche modo a prevenirli, grazie a riorganizzazioni interne - spiega la coordinatrice dell’ufficio ticinese -. Ma le prospettive future non sono delle migliori: sappiamo già che per l’anno prossimo ci sarà un nuovo taglio a livello federale. Senza contare che la Confederazione ha già stabilito un disimpegno totale da alcuni paesi in cui come organizzazione siamo da sempre attivi». La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) ha avviato un cambio di focus geografico per cui non destinerà più fondi, in particolare, all’America Latina costringendo le ong a ripensarsi. «Dovremo ritirarci da alcuni paesi» preannuncia tristemente Genini. Lo stesso discorso vale per Helvetas, che ha beneficiato fino a quest’anno anche dei contributi americani - in misura minore rispetto a quelli federali - e a seguito dei tagli decisi dall’amministrazione Trump ha dovuto chiudere i programmi in Bangladesh e Moldavia, licenziando una ventina di collaboratori nei due paesi. Ed è solo una goccia nel mare: «Come organizzazione siamo stati solo relativamente toccati da questi tagli (i tagli a USAID, ndr.) ma gli effetti nei paesi dove operiamo rischiano di essere devastanti per milioni di persone» prosegue Rodolfo Penne. Un impatto analogo - relativamente più vasto, dal punto di vista delle ong svizzere - è atteso a seguito delle misure di risparmio avviate dalla Confederazione.
«Contraccolpo sulle raccolte fondi»
In Ticino c’è poco da tagliare - la stragrande maggioranza delle realtà attive nella cooperazione allo sviluppo si basano sul lavoro di volontari - ma sono proprio le future conseguenze nei paesi beneficiari a destare maggiore preoccupazione. «Non sappiamo ancora come verranno attuate le misure di risparmio e quale sarà l’impatto a medio-lungo termine, ma molto probabilmente dovremo ridurre l’estensione dei nostri programmi». Un altro effetto si vedrà invece in Svizzera - e in Ticino - e sarà il maggiore impegno nella raccolta fondi presso i privati, per compensare il venire meno delle risorse pubbliche. La concorrenza nel fund-raising si farà più agguerrita. «Il contraccolpo si farà sentire a tutti i livelli, anche da parte di organizzazioni che hanno beneficiato in minima parte di contributi pubblici, e in nessuna misura di aiuti americani» osserva Genini di Comundo. Una cosa è certa: la generosità in Ticino non verrà meno - «le iniziative sostenute dalla popolazione sono tantissime, il territorio si è sempre distinto per solidarietà» - ma l’impatto non solo occupazionale sarà enorme: soprattutto oltre il confine.