Il commento

L'arrocco è legittimo, ma anche i dubbi

Modificare la ripartizione dei dipartimenti in un governo è un atto scandaloso e irrispettoso delle istituzioni? E perché mai? All’estero capita spesso
Nenad Stojanović
08.06.2025 06:00

Modificare la ripartizione dei dipartimenti in un governo nel corso della legislatura è un atto scandaloso e irrispettoso delle istituzioni? E perché mai? All’estero capita spesso. È vero che nel contesto svizzero, con governi collegiali e ministri orientati alla ricerca di soluzioni condivise e consensuali, decisioni di questo genere non sono frequenti e quindi è normale che sorprendano. Ma possono verificarsi, per svariati motivi, soprattutto quando un governo decide di agire «nell’interesse del Cantone».

È già successo che si togliesse un dipartimento, o parte di esso, a un membro del collegio e gli si assegnassero altri compiti. È capitato al consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet più volte negli anni 2018-2020. E qualcuno ricorderà che anche in Ticino ci fu un tentativo simile nel 2003. Un altro esempio recente: all’inizio di aprile, in seguito all’affaire Dittli, il Consiglio di Stato vodese ha proceduto a una riorganizzazione dei dipartimenti e dei servizi cantonali che ha riguardato addirittura quattro ministri su sette, nonostante fossero in mezzo alla legislatura 2022-2027.

A livello federale è moneta corrente che durante la legislatura si modifichi la ripartizione dei dipartimenti. Nel dicembre 2022 alla consigliera federale socialista Elisabeth Baume-Schneider era stato assegnato il Dipartimento di giustizia e polizia. Ma non si è trovata bene e dopo solo un anno lo ha lasciato al neoeletto Beat Jans per assumere la guida del potente Dipartimento dell’interno. 

Non è detto, tuttavia, che i nuovi eletti debbano sempre prendere ciò che resta dopo che i ministri già in carica hanno fatto le loro scelte. Nell’autunno del 1995 un accordo fra PS e PLR - che insieme detengono quattro seggi su sette - obbligò il consigliere federale UDC Adolf Ogi a lasciare il Dipartimento dei trasporti al neoeletto socialista Moritz Leuenberger e a prendere quello della Difesa, diretto fino ad allora dal liberale-radicale Kaspar Villiger. Villiger invece assunse il timone del Dipartimento delle finanze, occupato in precedenza da Otto Stich. Si vocifera che Ogi andò su tutte le furie ritenendosi vittima di un complotto politico, ma non ci fu niente da fare: in caso di disaccordi, il Consiglio federale decide applicando la regola della maggioranza assoluta.

Quindi, non vi è niente di scandaloso nel fatto che i due ministri leghisti abbiano voluto fare un arrocco nel terzo anno della legislatura. Quello che sorprende sono le modalità di comunicazione. Lo hanno venduto come cosa fatta mentre, manifestamente, non avevano la maggioranza necessaria in seno al governo. Da un lato, non si capisce se avevano per davvero il consenso di un terzo consigliere di Stato. A questo proposito sarebbe buona cosa che Christian Vitta dicesse in modo trasparente se aveva promesso il sostegno ai due leghisti.

Dall’altro lato, una lettura attenta della Costituzione cantonale lascia pensare, come suggerisce un recente atto parlamentare, che questo tipo di decisioni necessiti di una maggioranza qualificata (almeno quattro su cinque). Il governo cantonale è libero di basarsi su buone ragioni per accettare l’idea dell’arrocco. Ma la domanda da porsi è questa: le buone ragioni sono quelle che riguardano il bene comune, l’interesse del Cantone? Certo, la politica non è mai ingenua ed è del tutto normale che, accanto alle buone ragioni, ci possano essere anche quelle di tipo personale, partitico, elettorale. Anche queste sono legittime. Tuttavia, in caso di dubbio, l’interesse di tutti deve prevalere. Lasciando che alla fine - in dubio pro popolo! - decidano le cittadine e i cittadini quale governo e quali ministri vogliono (ri)eleggere nell’aprile del 2027.  

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