L'analisi

L'attacco «chirurgico» di Israele, per non irritare gli USA

Operazione Giorni del Pentimento: un raid limitato e annunciato, una mossa militare sperando di chiudere, per ora, il round con l’Iran
Guido Olimpio
27.10.2024 06:00

Anche se nessuno ha certezze in una regione dove le sorprese e le variabili imprevedibili sono la costante. Bibi Netanyahu non poteva non reagire all’attacco dei pasdaran del Primo Ottobre. Per diversi motivi. Primo. Siamo in un quadrante dove nessuno porge l’altra guancia, stare fermi equivale a mostrarsi deboli. Secondo. C’è la necessitò di stabilire un principio di deterrenza nei confronti dello sfidante. Terzo. Il contrasto totale contro l’avversario è nel DNA dell’attuale governo, dove dominano le ali più estreme. Quarto. È una fase nella quale lo Stato ebraico è costantemente all’offensiva perché ritiene di avere forza superiore rispetto a contendenti in equilibrio precario.

L’IDF si è affidato all’arma preferita, l’aviazione, una delle migliori al mondo per gli equipaggiamenti, la preparazione, l’esperienza. Le costanti incursioni dallo Yemen alla Siria recenti o nel passato hanno fatto da banco di prova per manovre a lungo raggio. Secondo le prime analisi sono stati impiegati quasi 100 aerei: i caccia, i velivoli per il rifornimento in volo e quelli per la guerra elettronica (necessari nelle contromisure), i droni (compresi quelli usati solo per distrarre le difese). Almeno tre ondate per dedicarsi a obiettivi essenzialmente militari: basi e depositi di missili, postazioni, caserme.

Sulla scelta dei target ha inciso una doppia valutazione. Intanto hanno «punito» simbolicamente le installazioni usate dai guardiani della rivoluzione nelle rappresaglie precedenti contro lo Stato ebraico. La divisione aerospaziale dei pasdaran è l’obiettivo primario e questo a prescindere dalla vendetta contingente. Infatti, è impegnata in un programma di ampio respiro che deve consegnare alla Repubblica islamica un arsenale strategico.

L’altro aspetto, nella designazione dei bersagli, è il «gesto» verso la Casa Bianca. Joe Biden aveva intimato di lasciare fuori i siti nucleari e gli impianti petroliferi in quanto temeva conseguenze gravissime a livello internazionale. Sul piano diplomatico ed economico. Netanyahu, in una fase di forte tensione personale con il presidente, ha rispettato la richiesta nonostante ci fosse chi nel suo esecutivo e tra alcuni «consiglieri» esterni che premeva per un’azione risoluta nei confronti del network atomico. Ora o mai più, dicevano, ritenendo che si era aperta una finestra d’opportunità. Invece la ritorsione è stata importante ma in apparenza su scala ridotta.

Tuttavia, l’IDF, nello spiegare quanto avvenuto, si è premurata di segnalare un punto: abbiamo impiegato solo una parte delle nostre risorse. Traduzione: vuol dire che le possiamo utilizzare contro i centri del programma.

È poi interessante notare che l’assalto dal cielo è scattato dopo lunghe deliberazioni e necessità tattiche. Prima il dibattito su «cosa» colpire, poi ritardi attribuiti al cattivo tempo e alla fuga di notizie sui piani, infine la necessità di completare lo scudo di protezione. Non è certo un caso che Tel Aviv abbia aspettato lo schieramento del sistema antimissile americano Thaad nel Negev: il Pentagono dispone di poche batterie, le sposta solo in casi eccezionali e l’averlo inviato a sostegno dell’alleato ha rappresentato un segnale rilevante. A seguire sono stati trasferiti altri caccia F16 statunitensi in aggiunta al dispositivo schierato nello scacchiere.

Il giorno dopo il blitz si guarda al futuro immediato, nel timore di una controrisposta dell’Iran e lo scivolamento verso il conflitto totale. A caldo, Teheran è parsa ridimensionare i danni sofferti mentre Israele ha esaltato il successo ma anche precisato che la sua azione si è conclusa. Secondo indiscrezioni del sito Axios gli israeliani avrebbero persino «avvisato» i mullah su conseguenze ancora più gravi nel caso di una risposta e sulla volontà di circoscrivere lo scontro. Sì, è vero, lo ripetiamo ad ogni scambio di colpi. È un auspicio ed una speranza in un mondo in frantumi.