Il commento

Le lezioni inascoltate sulla violenza

Dall’agenda di questa noiosa campagna elettorale, dove si parla di tutto e di più, la violenza giovanile non figura tra i temi prioritari
Mauro Spignesi
26.03.2023 06:00

Dall’agenda di questa noiosa campagna elettorale, dove si parla di tutto e di più, la violenza giovanile non figura tra i temi prioritari. Eppure uno Stato che guarda al futuro dovrebbe cercare di capire certi fenomeni per trovare soluzioni adeguate, in particolare quando si tratta dei nostri ragazzi, i cittadini di domani. Invece sembra che questo problema interessi poco ai partiti.

Interessa invece molto alla scuola, alle famiglie, alle associazioni, alla magistratura e alla polizia. E a chi ogni giorno è in prima fila e ha a che fare con gli adolescenti sempre più smarriti e alla ricerca di una loro dimensione e di una maturità che non sempre arriva presto.

Che il problema esista lo dicono innanzitutto i numeri. Nel 2021 sono stati aperti 1.100 incarti su minorenni problematici. A causa di risse e aggressioni sono state inflitte 127 condanne, quasi il doppio della media degli ultimi dieci anni. In carcere preventivo sono finiti 18 minorenni, 3 sono stati condannati a pene detentive. Non va meglio a livello nazionale dove tutti gli indicatori - ricavati dalle sentenze dei Tribunali - dicono che la violenza tra i ragazzi è in crescita. Le condanne sono aumentate del più 23 per cento; le risse del più 93 per cento; le lesioni gravi del più 35 per cento e le sanzioni ai minori del più 56 per cento.

Ora, naturalmente, i numeri vanno relativizzati e inseriti nel contesto nazionale e cantonale. Fatta questa operazione si capisce che la maggior parte dei giovani vive tranquillamente i problemi legati all’età della crescita e che per ora la violenza giovanile è una spia accesa e non ancora un allarme sociale diffuso. Ma proprio per questo va affrontato subito.

Nell’ultimo anno la cronaca ci ha restituito diversi gravi episodi con i giovani protagonisti, da Lugano a Locarno. Ed è sbagliato dire che si tratta di casi isolati, sminuire aggiungendo che i protagonisti erano ragazzi problematici, perché invece visti nel loro insieme questi fatti segnalano un malessere che va interpretato, perché altrimenti domani metterà radici più profonde. Il «caso Tamagni», che resta una ferita aperta nella società ticinese e una lezione inascoltata, ma anche risse e aggressioni avvenute in questi anni, debbono spingere tutti a interrogarsi.

Un ragazzo che sbaglia, come spiega nelle nostre pagine la magistrata dei minorenni Fabiola Gnesa, va recuperato. Vero, giusto: un adolescente ha il diritto di sbagliare, ha una vita davanti per rialzarsi e ripartire con l’aiuto di tutti. E d’altronde bisogna capire che il fallimento non va esorcizzato neppure in una società dove per molte famiglie il successo dei figli, a scuola come nello sport, è il valore prioritario. Il fallimento invece va accettato come punto di ripartenza.

Nel suo saggio «Il magico potere del fallimento» (Garzanti) il filosofo francese Charles Pépin fa notare come nel mondo anglosassone ci sia un modo di dire che offre ai giovani una attenuante: «Fail fast, fail often», sbaglia presto, sbaglia spesso. Non è come parrebbe un invito a sbagliare, non è una banalizzazione del problema. Ma è un modo di sottolineare che l’errore ci sta ma deve servire da lezione, va analizzato per non ripeterlo. E questo andrebbe capito.

Va tuttavia aggiunto che tutti debbono essere consapevoli che la violenza giovanile non si può combattere solo con l’impegno delle famiglie, della scuola, delle associazioni, di magistratura e polizia. Che già sono, spesso soli, in prima linea. Tutti i punti di vista, le strategie, i ruoli nella società, le sensibilità in questa battaglia acquistano valore. Serve una risposta collettiva. Perché l’asticella della sfida in questi anni si è rapidamente alzata. Se prima c’era la logica del branco a portare fuori strada i ragazzi, oggi ci sono modelli diseducativi e violenti che fanno molta presa tra i più fragili e meno attrezzati culturalmente e arrivano da certi programmi televisivi che alimentano pericolosi miti ma soprattutto dai social che bombardano comportamenti e stili di vita tossici, dalla sfida al mancato rispetto di insegnanti, poliziotti, allenatori, per non parlare dei genitori.

Altrimenti non ci si potrà più stupire davanti a fatti gravi, molto gravi, come quelli accaduti recentemente a Lugano.

In questo articolo: