Le tre sfide nella trappola del Donbass

Tre sfide attendono i combattenti nel Donbass, la regione dove si svolge la seconda fase dell’operazione speciale scatenata da Vladimir Putin.
La prima riguarda gli invasori. Dopo aver tentato di raggiungere Kiev e cingerla d’assedio si sono ora concentrati nelle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina. Lo Stato Maggiore ha affidato al generale Alexandr Dvornikov la missione di coordinare l’offensiva. E l’alto ufficiale, con esperienze belliche in Siria e nella zona sud, ha dovuto riorganizzare le unità in vista dell’assalto. Sono arrivati rinforzi e sono stati ricompattati alcuni dei reparti reduci dalle battaglie nel nord.
Dispositivo possente
Sulla carta ha un dispositivo possente, composto da quasi 80 BTG, i Battaglioni che compongono l’ossatura dell’Armata. Massiccio il ricorso all’artiglieria, ai cannoni a lunga gittata ai missili e ai razzi. Servono per lo sbarramento di fuoco da rovesciare sulle posizioni avversarie. Immaginate l’ incudine e il martello. Gli invasori dispiegano i corazzati e tengono le linee mentre sono i grossi «calibri» a picchiare incessantemente fino a indebolire le difese. A quel punto i russi potranno incalzare gli ucraini o anche chiuderli in sacche fino all’annientamento oppure costringerli a un ritiro.
Terreno pianeggiante
Mosca, da sempre, predilige questa tattica e il terreno pianeggiante, con poche aree boschive, può essere un suo alleato. Il punto è se il materiale umano è adeguato alle ambizioni e ai desideri del Cremlino. Alcune analisi occidentali sono piuttosto scettiche, in quanto ritengono che gli uomini agli ordini del generale non rappresentino il meglio. Inoltre è da comprendere se sono stati risolti i problemi logistici emersi in modo evidente all’inizio della campagna.
I tanti errori
C’è tuttavia una corrente di pensiero tra gli osservatori convinta della potenza dell’Armata nonostante i guai lamentati e i rovesci subiti sul fronte terrestre e in mare, con l’affondamento dell’incrociatore Moskva, la cui fine è il simbolo della potenza ammaccata. Un disastro legato all’incompetenza, alla sottovalutazione e ad errori. Come ben sappiamo sarà però il campo a misurare le capacità e a testare i piani degli alti gradi, sempre che non debbano sottostare a imposizioni del neo-zar, sempre più nella doppia veste di leader e generalissimo. Formalmente è stato Putin a ordinare di non sacrificare altre truppe per stanare gli irriducibili trincerati tra i tunnel e le macerie dell’acciaieria di Mariupol. Proprio la cittadina sul Mar Nero è l’esempio di come vi siano ostacoli imprevisti.
Questo ci porta alla seconda sfida, quella che coinvolge la resistenza. Ha dato il meglio, ha dimostrato coraggio e determinazione, ora deve ripetersi davanti ad un nemico che proverà a incenerirla. I soldati di Zelensky si sono preparati, conoscono la regione e sono consapevoli dei rischi che corrono. Devono tenere il colpo, rimandare indietro chi avanza e poi – se ne hanno i mezzi – provare a riguadagnare quelle «fette» di paese ingoiate dalla macchina bellica del Cremlino. Non sono poche, è una menomazione importante. Il Donbass non è solo una realtà geografica, infatti ospita risorse minerarie ed economiche importanti. Una parte delle infrastrutture sono state demolite in modo sistematico dalla Russia a conferma della volontà di cancellare le persone e le cose che permettono la vita quotidiana, il lavoro. Al tempo stesso, una volta acquisito il controllo territoriale, nulla vieta alla Russia di far rullare i tamburi della vittoria. Quando ritiene sia opportuno e utile, ai fini interni.
Infine la terza sfida. Kiev ha continuato a chiedere armi e ne ha ricevute dai paesi occidentali. Dai sistemi anti-carro e anti-aerei si è passati alle artiglierie, ai blindati, ai tank - di terza mano -, alle munizioni che vengono bruciate a ritmi incalzanti. Sono aiuti che hanno impedito ai russi di ottenere risultati immediati e hanno inflitto perdite pesanti.
La seconda ondata
Ora servono per fronteggiare la seconda ondata, ma anche per guardare «avanti». Politici e osservatori non escludono che la crisi possa proseguire a lungo divorando le brigate, gli uomini, i blindati. A meno che i duellanti non decidano di fermarsi. Per gli americani le prossime quattro settimane diranno molto sulla direzione della crisi.