Leopoli-Lugano andata e ritorno
Famiglie che si dividono. Famiglie che si riuniscono. A causa della guerra in Ucraina. Elena Gavrilov è tornata a casa. A Leopoli. È partita ieri, sabato 4 giugno. Da Lugano. Dopo 45 giorni di «esilio». Di lontananza dalla sua nazione attaccata un giorno di fine febbraio dalla Russia. Perché «le persone si dividono in due categorie – spiega alla Domenica – quelle che affrontano la guerra e quelle che scappano». Lei ha scelto di non rimanere. In Ticino, ma neppure indifferente. Ha scelto di aiutare. Sempre. Chi è meno fortunato. Così anche da Lugano ha dato il suo contributo. «Sono psicoterapeuta - dice - e a titolo gratuito ho cercato di aiutare da lontano chi in Ucraina, ma anche inSvizzera ha subito e sta subendo le conseguenze psicologiche della guerra». A un certo punto però non è più bastato, non è stato più sufficiente aiutare da dietro una scrivania. Così Elena ha deciso di partire, di tornare a casa e fornire aiuto psicologico sul posto a Leopoli, «dove ricostruirò un piccolo studio».
«Mio marito è volontario»
Lassù, dove ancora il conflitto non è finito, perché non è raro che sulla città e nei dintorni cadano ancora missili russi, Elena incontrerà suo marito. Ma solo per poco. «Perché ha ricevuto la chiamata del servizio militare - precisa - e molto probabilmente dovrà partire per il fronte a combattere». Le persone, del resto, si dividono in due categorie.
«Fin da subito mio marito ha dato la sua disponibilità, come volontario, anche se di professione è informatico, anche se l’ultima volta che ha imbracciato un fucile è stato a scuola reclute - continua -. Certo che ha paura, anche io ne ho, ma speriamo che la guerra possa finire presto e possa tornare a casa anche lui dalla sua famiglia come tutto il popolo ucraino che sta combattendo». Lassù Elena incontrerà suo marito. Anche se solo per poco. Poi, aiuterà tutti quelli che hanno bisogno di un sostegno psicologico. Perché la guerra non procura solo vittime e ferite sui campi di battaglia. Ma anche tra la popolazione che rimane rinchiusa. Resiste. Che spera che prima o poi le ostilità possano finire in fretta. Tra loro anche molti bambini. I più sensibili. I più fragili. Che esprimono le loro paure con disegni e forme colorate.


I disegni dei bambini
Elena ne mostra alcuni. Si vedono carri armati, aerei e case in fiamme, persone con i mitra, strisce di sangue. Ma anche cuori, soli e cieli splendenti. Un bambino ha disegnato anche una tomba. Con una rosa appoggiata sopra. Accanto una panchina vuota. E poi un mare con due grandi occhi. E una corona di fiori che perde i petali.
«I bambini piccoli quando disegnano spiegano quello che sentono, quello che hanno passato, quello che vedono tutti i giorni», precisa una volta di più Elena, che ieri è partita da sola. Prima in aereo, poi in bus. Verso Leopoli, la sua città. «Il mio desiderio è quello di rimanere, ma molto dipenderà da quello che succederà. Se le cose dovessero peggiorare, sarò costretta a considerare di partire di nuovo». Elena è serena. Ma preoccupata allo stesso tempo. Perché quella in Ucraina non è una guerra come le altre. «Ma si è creata con il tempo». Di una cosa è però sicura. Difendere la propria nazione è giusto. «Amiamo la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra identità. Tutti quelli che stanno tornando lo stanno facendo per l’amore che provano verso il nostro Paese».
«Scappata dai bombardamenti»
Un amore grande. Come il sostegno. Anche in Ticino. Da ucraini per ucraini. Ludmila è appena entrata nel nuovo centro che l’Associazione Amicizia dei popoli ha appena aperto a Castagnola, nei locali della Posta. Prima cibo e aiuti venivano distribuiti al padiglione Conza. Poi a Pregassona. Oggi è qui che centinaia di persone al giorno si annunciano e ritirano un pacco di pasta, scatolette di tonno, frutta e verdura. L’associazione Amicizia dei popoli ha un database con 2.500 ucraini registrati. Sono ospitati da privati e negli appartamenti messi a disposizione dallo Stato. E una volta alla settimana vengono qui. Come Ludmilla, suo marito e i loro tre figli. «Sono nata a Leopoli ma arrivamo da Lutsk - spiega Ludmila - quando hanno iniziato i bombardamenti e hanno colpito la nostra casa siamo fuggiti. Abbiamo dormito ovunque e vissuto con mezzi di fortuna fino a quando abbiamo raggiunto il confine con la Polonia. Mio marito aveva appena avuto un infarto, era stato appena operato e non riuscivamo a trovare da nessuna parte le medicine». Da Varsavia, dove sono stati accolti in un campo profughi, due mesi fa Ludmila e la sua famiglia arrivano a Chiasso, «perché su un bus si erano liberati cinque posti», e oggi, dopo essere passati da Cadenazzo e da un altro centro, stanno ancora aspettando di ricevere il permesso. Anche se adesso sono ospitati da una famiglia sopra Lugano. «Voglio ringraziare di cuore tutte le persone che ci stanno aiutando, che ci stanno dando una mano - afferma - il loro aiuto è stato e continua a essere prezioso e importante». Ludmila parla del passato e del presente. Perché il futuro è incerto. «Non so quando potremo tornare a casa, i bombordamenti hanno distrutto quasi tutto».


Il centro a Castagnola
Igor Hryshchuk è uno dei volontari del centro di raccolta e di smistamento dell’associazione Amicizia dei popoli. Non è da solo. «La maggior parte di noi arriva dall’Ucraina e dà una mano a titolo volontario», precisa. Il lavoro è molto. Perché agli sportelli dell’ex Posta il via vai è quasi continuo. Chi entra dalla porta principale per prima cosa deve annunciarsi a chi sta dall’altra parte del vetro. Che controlla se è registrato, le sue generalità e se ha diritto all’aiuto. Se è tutto in regola, chi chiede l’aiuto passa al secondo sportello.Che si alza e invece di ricevere un pacco lo fornisce. Dentro aiuti alimentari. Anche specifici. Nel caso di bambini piccoli vengono forniti latte, biscotti e dolciumi. «Tra non molto daremo anche i vestiti - sottolinea Igor - e organizzeremo anche corsi per imparare l’italiano e l’inglese». Tutto bene, quindi? Non molto. Gli aiuti sono calati parecchio. L’onda della solidarietà che all’inizio del conflitto aveva raggiunto livelli incredibili si è indebolita. Come se la guerra in Ucraina fosse passata in secondo piano. O fosse considerata ineluttabile e quindi scontata. Ma così non è. Basta guarda la porta del centro che si apre e si chiude centinaia di volte al giorno e i volti di gratitudine dei profughi. Che in fila aspettano il loro turno. Per mangiare.