L'ex presidente

L'impresa titanica dell'Angelo

La parola a Renzetti: «Le mie debolezze non le nascondo mai e forse proprio quelle mi hanno permesso di realizzare un’impresa titanica»
15.05.2022 06:00

«Ricordo quella volta che ho riunito tutta la squadra, eravamo in pieno lockdown, per dire loro che dovevo abbassare gli stipendi… Abbiamo parlato di tutto ma non di quello per cui li avevo convocati. Non ho avuto il coraggio di dirlo. Ecco, questo è Angelo Renzetti». Questo è l’ex patron del Lugano calcio, per undici anni a capo dell’FC Lugano. Un uomo che sicuramente sa fare i propri conti, non è certo uno sprovveduto, professionalmente ha dimostrato di essere in gamba. Tuttavia, quando di mezzo ci sono i sentimenti - e con il Lugano calcio Renzetti più della testa ci ha messo il cuore - tutto cambia. Ciò che sembra chiaro, lampante, evidente, non lo è più. «Ci ho sempre messo la passione, io, il trasporto>», ripete più volte «il presidente», come ancora in molti lo chiamano, anche se, dice, «mi dà un po’ fastidio». Oggi, domenica, è lì, allo stadio Wankdorf di Berna per assistere alla finale di Coppa Svizzera. Non lo ammetterà mai, ma un po’ di magone ce l’ha a sei anni di distanza dalla ‘sua’ di Coppa, quella vittoria che gli è sfuggita dalle mani al Letzigrund. Con la consapevolezza, oggi, parole di Renzetti, «di avere perso un’occasione grande come una casa».

Meglio l’armonia

Un’occasione persa, nel 2016, vero. Ma in realtà Renzetti all’epoca non ne era mica consapevole. «Per noi era già una grazia ricevuta essere arrivati in finale, essere in Super League. Non c’era tanto l’obiettivo Coppa, anche se sarebbe stato bellissimo. Noi eravamo già felicissimi così. Io ero già felicissimo così. Non è stato un dramma. Solo dopo mi sono reso conto degli errori che abbiamo commesso e che potevamo evitare».

Niente arrabbiature, dunque, nessuna discussione con la squadra, niente di niente. «A cosa sarebbe servito? - replica -. Solo a rovinare il clima». E lui, il presidente, all’armonia ci teneva. «I giocatori stavano già abbastanza male, perché avrei dovuto rincarare la dose? Li conoscevo bene, uno per uno, si parlava spesso tra di noi, e non intendo soltanto di calcio. Con loro ho sempre avuto un rapporto umano, veritiero, basato sulla sincerità. Assieme abbiamo affrontato un’impresa titanica e ciò ha contributo a cementare la nostra unione». Solidali, uniti, coesi, senza nascondere mai le proprie debolezze».

Le fragilità

«È vero, non ho mai nascosto le mie fragilità, le mie difficoltà nel gestire qualcosa che, effettivamente, era un po’ al di sopra della mia portata. Mia moglie, anche se non me lo faceva capire ed è sempre stata molto discreta, ne era consapevole, immaginava il mio disagio. Ma si era rassegnata. A me spiaceva, perché lei non aveva in casa l’Angelo autentico. Dal canto mio, cercavo di non coinvolgerla più di tanto per non metterle ansia. Sono uno che tende a tenersi dentro tutto. Con mio figlio mi aprivo un po’ di più. Mio figlio, che purtroppo non ho vissuto come avrei voluto. Diciamo che sono stati anni belli ma anche sofferti, tribolati, con tante tante preoccupazioni. Mi sono privato di un sacco di cose, ho trascurato gli affetti, non ho viaggiato, non c’ero quando magari avrei dovuto…».

Sono uno che tende a tenersi dentro tutto, con mio figlio mi aprivo un po’. Anche se non l’ho vissuto come avrei voluto

Un peso

Senza parlare dell’aspetto economico. «Beh, lasciamo perdere. Quando finalmente ho venduto mi sono tolto un grande peso dalle spalle. E poi sapevo che sarebbero stati tutti contenti, mio figlio per primo, e anche mia moglie. Non l’ha dimostrato ma era felicissima. Non tanto perché avevo risolto la questione finanziaria, quanto perché finalmente avrebbe riavuto suo marito».

Già, il vero Angelo. Quello tutto cuore e pancia. Che a un certo punto della vita si butta in un’avventura più grande di lui. E poi, quando iniziano le difficoltà resiste, combatte, non molla, non si dà per vinto. Sino alla fine. Non tanto per lui ma per il gruppo che guida. La ‘sua’ squadra. Che un po’ oggi gli manca sicuramente. «Ho nostalgia del clima che si era instaurato tra me e i giocatori, questo sì. L’alchimia del gruppo, in cui gli allenatori erano un po’ ai margini, anche perché cambiavano spesso. Ma la squadra, compresi gli allenatori in seconda, e tutti gli altri che ruotavano attorno erano una cosa sola. D’altro canto il calcio è così, tutti per uno, uno per tutti, non si può prescindere da questo. Si condivide molto, quasi tutto. E se ci metti cuore, passione e voglia di farcela è un percorso che ti fa crescere, migliorare».

Se ci metti cuore, passione e voglia di farcela è un percorso che ti fa crescere, migliorare, per me è stato così

I compromessi

Un rammarico, se si guarda alle spalle, Renzetti ce l’ha. «La cosa che ho patito di più era il dover accettare dei compromessi economici, intendo di opportunità di acquisti. Fortunatamente mi ha salvato il fatto di essere trasversale, di avere rapporti schietti e sinceri con gli sponsor, con lo sportivo della strada, con i giocatori, con tutti coloro che ruotano attorno a una squadra». E poi ci sono alcuni atteggiamenti di cui si è pentito e che con il senno del poi non avrebbe più. «Non ho mai perso una partita ma non mi limitavo a guardare. No, io controllavo, scrutavo gli atteggiamenti dei giocatori, chi scattava, chi no, chi si arrabbiava... E sempre mi veniva di intervenire, di scendere in campo, di dire la mia anche lì. Ecco, questo non lo rifarei». Come non rifarebbe, dice (poi chissà), comperarsi una squadra di calcio. «Sono dieci anni di vita in cui avrei potuto fare altro. Avere molte meno preoccupazioni. Non so se vi rendete conto cosa hanno significato due anni di lockdown, senza spettatori e dover mettere assieme comunque gli stipendi. Sei legato ai risultati, al pubblico, alla stampa. Anche se non nego un arricchimento, tutto ciò che di bello questa avventura mi ha lasciato sul piano umano. E poi, diciamolo chiaramente: dopo tutto l’Angelo ha dimostrato di poter fare un’impresa titanica».

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