Economia

L'oro svizzero passa (quasi) tutto dal Ticino ma poi finisce in Cina

Il direttore della Valcambi di Balerna, Simone Knobloch, spiega che cosa succede
©CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
09.06.2024 13:45

Simone Knobloch squaderna una serie di grafici sul grande tavolo della sala riunioni, alla Valcambi di Balerna. Mostrano l’andamento dell’oro negli ultimi due anni.

«Qui la Russia ha attaccato l’Ucraina» dice il direttore additando la curva tra febbraio 2022 (valore al kg: 53mila franchi) e la metà di marzo (58mila). Il grafico prosegue con alti e bassi fino a febbraio scorso: il dito di Knobloch si ferma di nuovo. «Qui è scoppiata la crisi sul Mar Rosso». La curva sale spedita, passa per l’attacco all’ambasciata di Damasco (66mila franchi il 2 aprile) e decolla con la tensione Israele-Iran (70mila il 20 maggio) poi si stabilizza.L'

I grafici mostrano l'andamento delle quotazioni (foto Cdt-Putzu)
I grafici mostrano l'andamento delle quotazioni (foto Cdt-Putzu)

«A posteriori si è tentati di desumere delle correlazioni, è noto che il valore dell’oro risente della congiuntura internazionale» riflette l’esperto: da dieci anni Knobloch è «chief operating officer» della raffineria più grande della Svizzera, ma un picco così alto non lo aveva mai registrato. «È sicuramente un record storico a cui concorrono una serie di fattori - osserva -. Un evento da solo non basterebbe a spiegare la tendenza».

Il «tesoro» ticinese

Dalle fonderie di metalli preziosi del Mendrisiotto - oltre a Valcambi ci sono la Argor Heraeus di Mendrisio e la MKS Pamp di Castel San Pietro - passa oltre il 60 per cento dell’import-export del Ticino: 25,9 miliardi di franchi solo nel 2019, per dare una cifra. Ma nel 2024 il valore potrebbe raggiungere livelli mai visti, proprio per via delle quotazioni «stellari» raggiunte dal mercato. Intanto, però, i volumi di metalli preziosi in commercio restano piuttosto stabili.

«Se guardiamo i quantitativi movimentati a livello svizzero, vediamo che lo sviluppo è molto più lineare» sottolinea Knobloch mostrando un secondo grafico. «L’oro è il bene rifugio per eccellenza e la Svizzera ancora considerata un luogo sicuro» sottolinea Knobloch. «Nei momenti di crisi internazionale la domanda aumenta, è così da sempre. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato fenomeni imprevedibili».

© CdT/Gabriele Putzu
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«Siamo solo una tappa»

La vetrata della sala riunioni di Balerna dà sui capannoni sorvegliati da telecamere e circondati da alte inferriate. Il concetto di «massima sicurezza» è palpabile come in un carcere: cosa c’è di più sicuro dell’oro? «Il problema è che se confrontiamo i dati del commercio globale con quelli dell’import-export svizzero, che è in gran parte ticinese, notiamo una discrepanza» avverte Knobloch. E tira fuori un altro foglio che, dal suo punto di vista, è il più preoccupante. Illustra i quantitativi dell’oro in entrata e in uscita in Svizzera nel 2023 e 2024. «Quasi tutto arriva da Kloten, in aereo, ma poi finisce qui in Ticino per la lavorazione» spiega il direttore. «Una volta fuso il metallo non rimane da noi: riparte per l’estero. Il Ticino è solo una tappa».

I dati delle Dogane lo mostrano bene: tanto oro entra, tanto ne esce (più o meno: 641.244 kg l’import nel primo quadrimestre 2024, 539.779 kg l’export). A preoccupare è il fatto che le cifre sono poco diverse da quelle dell’anno scorso (678.640 e 508.368 kg). «A livello globale molti investitori stanno vendendo l’oro acquistato durante la pandemia, e altri investitori lo stanno comprando. Ma i dati dicono che il grande movimento non succede in Svizzera» registra Knobloch.

In fuga verso Est

Dove, allora? I nuovi equilibri mondiali - «oggi la domanda arriva soprattutto dall’Asia» - hanno favorito l’emergere di piazze alternative (Emirati in primis) dove le regole e i controlli sulla provenienza delle materie prime sono molto meno stringenti. Al netto delle polemiche che - anche di recente - hanno sfiorato le raffinerie ticinesi sui rapporti con le miniere nei «paesi a rischio». La nostra catena di tracciabilità è accuratissima e sempre più efficiente» scuote la testa Knobloch.Da quando è stata fondata nel 1967 - all’epoca la vicina Italia era il centro mondiale della produzione di gioielli - la Valcambi è passata da proprietà svizzera (Credit Suisse fino al 2003), americana (fino al 2017) e infine indiana. I quantitativi di oro lavorato sono sempre aumentati e così pure i controlli. «È qualcosa di cui siamo orgogliosi» conclude il direttore. Il problema è che il grosso del metallo, adesso, rischia di prendere altre strade

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