L'opinione

Lugano e la solita estate di autocelebrazioni

Da Lugano Marittima alla Splendida, sul Ceresio è tutto un applauso: ma davvero il successo si misura solo sui numeri?
Enrico Carpani
Enrico Carpani
31.08.2025 06:00

Ci stiamo lasciando alle spalle la solita estate densa di autocelebrazioni sulla vivacità della città: Lugano Marittima «cartolina vivente della sua bellezza» e anche La Splendida sono ormai assurte a simboli del dinamismo di una Lugano che ci ha abituati a misurare il successo di un evento soltanto con i numeri. Che contano, certo, ma non al punto da annullare qualsiasi altro criterio di valutazione per manifestazioni di forte impatto su varie componenti di ogni delicata struttura urbana. Dietro questo ostentato positivismo nel bilancio degli ultimi mesi si celano comunque anche alcuni imbarazzanti pasticci e soprattutto qualche serio problema: l’ennesimo inciampo sulle possibilità di sfruttamento dello stadio di Cornaredo e certe manchevolezze nella cura dell’arredo urbano - su tutte l’orribile semaforo provvisorio che si sarebbe potuto e dovuto semplicemente sistemare e che invece dopo otto anni è stato eliminato creando un fattore di estrema criticità nel delicatissimo ecosistema della viabilità - sono soltanto un paio di temi che stanno a cuore a molti luganesi e che sarebbe dunque giusto approfondire.

Oggi però la priorità assoluta è la sicurezza. Per capirlo, anzi più che altro accettarlo, basterebbe ascoltare, leggere, entrare davvero nelle preoccupazioni di chi queste situazioni le vive quotidianamente. I recenti episodi di violenza di gruppo dimostrano che non si può più parlare di casualità: come si era provato a suggerire anni fa la situazione è andata peggiorando e la notte la città è molto meno sicura - o se vi fa sentire meglio… assai meno rassicurante - di quanto si voglia far credere. Attribuire le responsabilità di certi comportamenti alla società, alle famiglie, alla scuola, agli smartphone è intellettualmente corretto, ma di certo non è utile per individuare le contromisure da adottare in tempi brevi.

Addirittura, questo approccio di cui un po’ tutti coloro che sono stati chiamati in causa hanno creduto di potersi servire per smarcarsi dai rispettivi compiti istituzionali finisce per sembrare il più classico degli espedienti per scaricare il problema su dimensioni che sfuggono a qualsiasi forma di controllo diretto. Che sarebbe poi uno dei principali doveri di ogni autorità: nessuno si aspetta dalle forze dell’ordine lezioni di sociologia spicciola, ma strategie di intervento che tutelino la sicurezza generale. Il resto è poco più di aria fritta, come l’ingiustificato, stizzito risentimento di una categoria - la polizia appunto - che merita il massimo rispetto ma che non deve degradare a strumentalizzazioni. In questo momento la lucidità servirebbe più dei consigli di chi ha risolto problematiche difficili ma comunque molto diverse come lo spaccio di droga e dell’ostinazione di chi giudica i fatti sempre e soltanto dalla propria prospettiva. Perché se proprio quando si prevede un imponente spiegamento di agenti non si pensa a un presidio ravvicinato e attivo nel luogo che tutti sanno essere il più a rischio un errore tattico è stato pur commesso, o no?

Non serve l’accademia di West Point per rendersene conto. E allora mi auguro che nel bel progetto di riqualifica dell’area - con tanto di doverosa attenzione al verde e alla riduzione del calore - non ci si dimentichi di trovare lo spazio per un posto di polizia stabile e molto visibile. Non è nemmeno indispensabile che la politica ci creda per realizzarlo: per una volta sarebbe giusto - e magari anche intelligente - che lo faccia soltanto perché la gente, tanta gente, pensa che sia necessario.

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