Il personaggio

L'ultimo Ulrico svizzero a Milano

Matteo Ulrico Hoepli guida la casa editrice fondata dal trisavolo nel 1871 – La storia di una famiglia che si sente ancora turgoviese: «Il passaporto? Ho solo quello rossocrociato»
© CdT / Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
23.11.2025 15:45

Ancora oggi, 155 anni dopo, l’Ulrico che cammina nel sottoportico all’ombra della Madonnina ha in tasca il passaporto rossocrociato, «e solo quello». Proprio come il suo trisavolo arrivato dal canton Turgovia nel 1861.

«È una tradizione. La nostra famiglia è milanese da due secoli ma nel profondo rimane essenzialmente svizzera, in diversi modi».

Anche se la grafia del cognome si è italianizzata nel frattempo - Hoepli anziché Höpli - e la «acca» non la pronuncia più nessuno, nemmeno lui, l’ultimo degli «Ulrichi» alla guida dell’omonima casa editrice, Matteo Ulrico, incarna la tradizione familiare non solo a parole.

L’ultimo Ulrico

Cravatta rosso-blu (omaggio al Ticino?), golfino sotto il completo proprio come quello che indossava il padre, Carlo Ulrico Hoepli, in occasione della sua ultima visita a Lugano nel 2021. È il segno di un passaggio di testimone. Non esistono foto a colori del capostipite Johannes Ulrich Höpli, nato a Tuttwill (TG) nel 1845, ma i dagherrotipi appesi alle pareti della libreria presentano una figura non molto dissimile.

È noto che gli émigré cristallizzano in sé l’immagine del paese d’origine - è successo a tanti e illustri ticinesi, dalla Francia all’Argentina - ne conservano le tradizioni meglio e più a lungo che la madrepatria. La «svizzeritudine» della famiglia Hoepli, di sicuro, è una filosofia che va oltre le apparenze e il «pezzo di carta».

«Per noi è anzitutto una filosofia di lavoro e uno stile editoriale. Dedicarsi ai libri utili, non perdersi nei fronzoli, andare diritti al sodo».

Matteo Ulrico usa il «noi» perché, sebbene due anni fa abbia ereditato dal padre la presidenza, la società editrice è gestita in modo «collegiale» con i fratelli Giovanni e Barbara- un’altra caratteristica svizzera che contraddistingue la Hoepli da sempre - e ci sono tre scrivanie nell’ufficio che svetta all’ultimo piano della libreria.

«Ci piace stare in alto, per essere più vicini alle Alpi».

Scherzi a parte la libreria - sei piani in tutto - è una delle più alte e grandi d’Europa. Duemila metri quadri, cinquanta librai. Si estende per osmosi-omonimia alla strada antistante, via Ulrico Hoepli (il trisavolo) che è il cuore della Milano elvetica assiemeal Centro Svizzero poco distante.

Tra qui e la vecchia sede in piazza San Babila - «sfrattata» da Mussolini per costruire il Teatro Nuovo, oggi chiuso - è passata la storia della cultura milanese e quindi italiana a cavallo di tre secoli e due millenni. «Una cultura elitaria all’inizio, poi decadente, militante, post-moderna, per arrivare all’apertura prospettica attuale, rivolta alle diversità, che è anch’essa cultura» ragiona Matteo Hoepli. «Quello che potrebbe apparire come un momento di crisi in realtà è solo una fase di cambiamento, di ampliamento di pubblico e temi. È un’evoluzione positiva».

Nascondino tra i libri

Una certa dose di positivismo e quanto meno di ottimismo è insita negli Hoepli almeno fin dal tempo di Johannes Ulrich, che all’epoca della prima esposizione universale milanese (1906) aprì la tipografia ai temi concreti e «popolari» della manualistica (il Manuale del tintore, il Manuale dell’ingegnere) e rimediò con i primi ‘‘handbuch’’ alla povertà dell’editoria tecnico-scientifica italiana d’inizio Novecento. «In un contesto culturale improntato all’elitarismo fu una vera e propria rivoluzione» ricorda Matteo Ulrico, che dei manualetti conserva diverse copie sulla scrivania come memento. «Fu qualcosa di simile alla rivoluzione di internet che vediamo in questi anni».

Di mezzo c’è stato un secolo «breve» e sconquassato che hanno attraversato con vari alti e bassi editoriali (gli Scritti e Discorsi di Benito Mussolini, 1934-1940, tra le altre cose) il bisnonno e il nonno, Gianni Carlo, il secondo Hoepli a essere onorato nel Famedio milanese («siamo l’unica famiglia milanese ad avere ricevuto questa doppia onoreficenza»). C’è stata anche la distruzione della libreria - la vecchia sede in via Berchet - sotto ripetuti bombardamenti alleati nel 1942-43. Il magazzino viene distrutto quasi del tutto, di 4mila titoli in catalogo ne sopravvivono appena 82.

Ma l’ottimismo risorge dalle macerie. Nel Dopoguerra viene costruita quella che è ancora oggi la sede della libreria-casa editrice, in un monumento di architettura razionalista (può piacere o non piacere) disegnato da Luigi Figini e Gino Pollini, a pochi passi dal Duomo. Il riposizionamento è anche editoriale: sono gli anni del «boom» economico che per la Hoepli arriva grazie all’editoria scolastica. «Per noi è tuttora un settore importantissimo, che vale circa la metà della nostra produzione. Naturalmente, siamo presenti soprattutto negli istituti tecnici».

In quegli anni anche il futuro presidente va «a scuola» nella libreria di famiglia: un’infanzia passata tra cataste di libri, a leggerli e a giocare a nascondino - «con i miei fratelli e i cuginetti, quando la libreria chiudeva» - mentre intorno il mondo cambiava ancora.

«Crescere in mezzo alla carta è stato un privilegio. Ricordo Umberto Eco, Inge Feltrinelli, le personalità della cultura erano di casa, da noi. Il libro era il pane quotidiano».

In cuor suo Matteo Hoepli ha «sempre saputo» che avrebbe fatto l’editore, dice, ma ha giocato «a nascondino» con il destino ancora per parte della sua giovinezza professionale, scegliendo inizialmente - da bravo svizzero - la carriera in banca. «Fu mio nonno a incentivarmi. Anche lui aveva fatto il bancario. Diceva: se fai l’editore male che vada ti restano in mano dei libri. Se fai il bancario, dei soldi».

La rivoluzione digitale

Pragmatismo turgoviese. La carriera lo ha portato dapprima in Ticino - «sei mesi di tirocinio in una banca, mi piacque tantissimo» - negli anni d’oro della piazza luganese. Poi a Londra e a New York tra i «lupi» di Wall Street (Lehman Brothers, Goldmann Sachs) dove ha visto l’attacco alle Torri Gemelle e ha capito che, per lui, quella strada finiva lì.

«Presi un anno sabbatico, tornai a Milano in tempo per vedere mio nonno morire. Mi disse: hai fatto il giro del mondo, è ora che torni a casa».

Così è arrivato il suo turno. Nella saga della famiglia più svizzera di Milano il ruolo di Matteo Ulrico è legato all’ultima svolta che - drammaticamente - ha investito il mondo dell’editoria. È l’Ulrico della rivoluzione digitale.

«Abbiamo visto arrivare il cambiamento da lontano. Vent’anni or sono mio padre mi disse che non vedeva bene il futuro delle librerie. Risposi: neanche io. E gli spiegai cosa avevo in mente».

Un’intuizione che, nei primi anni Duemila, ha portato la Hoepli a diventare la prima libreria online in Italia: «All’improvviso era come se avessimo aperto negozi da Pantelleria a Bolzano, anzi fino ad Airolo, visto che riforniamo molto bene anche la Svizzera italiana». Oggi l’e-commerce vale il 50 per cento delle vendite della libreria e il 30 per cento della casa editrice. «Il nostro caso dimostra che internet è stata e continuerà a essere una grande opportunità per l’editoria. La carta stampata non deve avere paura del digitale».

Positivismo turgoviese.

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