Storie

Lunga vita all'oro rosso

A Chiasso dal 1917 quattro generazioni di Pirogalli lavorano uno zafferano speciale
Fausto Salvioni e Rosa Pirogalli in azienda. © CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
12.03.2023 07:00

Il signor Fausto compirà novant’anni tra poche settimane. E non passa giorno senza che si rechi «in ditta» a Chiasso con la moglie Rosa, 88 anni, a toccare con mano la polvere rossa che è stata tutta la loro vita. Controllano la qualità, i quantitativi. Sfogliano i fili essiccati: «Questo è buono, questo da buttare». Sono i pistilli dello zafferano: il «giallo» che gli anziani coniugi ritrovano poi a casa in tavola - risotto, pasta, condimento - in pausa pranzo o a cena. «Per noi lo zafferano è tutto, non ci lascia mai». Forse è anche il segreto della loro ottima forma.

I benefici per la salute del cosiddetto «oro rosso» del resto sono noti e dimostrati (digestivi, neurologici, respiratori). Nel caso della Pirogalli SA di Chiasso, la longevità è anche commerciale. Fondata nel 1917, in cent’anni di attività l’azienda è giunta alla quarta generazione di Pirogalli sopravvivendo a crisi economiche, siccità e cambiamenti climatici, una pandemia e due guerre mondiali. Durante la prima, nel 1917, il bisnonno Felice si accorse delle proprietà terapeutiche della preziosa spezia (lavorava in un’azienda farmaceutica a Milano) e fondò nella città di confine la prima azienda importatrice in Svizzera. Il nome del prodotto, zafferano «Aquila», ricorda le coltivazioni pregiate che al tempo esistevano negli Abruzzi. In oltre un secolo i fornitori sono cambiati, ma non la qualità: nel 2016 l’eccellenza ticinese è stata premiata con il punteggio massimo (cinque su cinque) in un confronto condotto dal Laboratorio cantonale di Vaud sui marchi presenti in Svizzera.

Controlli minuziosi

Il signor Fausto ha una visione molto chiara del perché sia così. «Ci riforniamo da produttori con cui abbiamo costruito un rapporto di fiducia nel tempo. Sono sempre gli stessi». Nel magazzino di Chiasso la materia prima arriva direttamente sotto forma di pistilli essiccati. «Non ci facciamo consegnare la polvere già macinata, vogliamo vedere i fili e controllarli», spiegano le figlie Francesca e Gisella, anche loro operative in azienda assieme al fratello Paolo. «Solo in questo modo è possibile verificare lo stato del prodotto e individuare impurità o la presenza di petali secchi». Fidarsi è bene, insomma, ma non troppo.

Dal fiore alla tavola

I segreti non mancano in ogni famiglia che si rispetti. E alla Pirogalli - azienda decisamente famigliare: sette dipendenti compresi i discendenti del fondatore - quello meglio custodito riguarda il procedimento di macinazione. «Una tecnica particolare tramandata da generazioni» spiega Francesca. «Nel prodotto finale fa la differenza tanto che i nostri concorrenti in passato ci hanno chiesto di macinare i loro prodotti». Naturalmente, i signori Pirogalli-Salvioni si sono rifiutati. «Significherebbe perdere un vantaggio sul mercato». Se la materia prima arriva dal Mediterraneo, invece, è senz’altro elvetica la scrupolosità con cui le generazioni di Pirogalli hanno curato la filiera, che passa dal Ticino e finisce sugli scaffali dei supermercati di mezza Svizzera.

Antiche tradizioni

L’origine è in campi coltivati secondo tradizioni pluri-secolari: in Abruzzo Gisella e Francesca ricordano di essere state portate da piccole, per vedere le coltivazioni e muovere i primi passi nel mestiere, tra i fiori di «crocus sativus» violetti da cui si estraggono i pistilli. «Ora in Italia la produzione si è molto ridotta mentre in Ticino non è mai veramente decollata, a parte sporadici tentativi su piccola scala», racconta Gisella. Le coltivazioni hanno cambiato latitudine, in Grecia e Spagna, ma non gli antichi riti contadini. «Il crocus sboccia in ottobre- novembre», continuano le due sorelle. «Deve essere raccolto alla mattina presto, prima che si schiuda». Rigorosamente a mano. E a mano i fiori vengono aperti, il pomeriggio, da anziani e anziane che ne estraggono i pistilli stando seduti sulle soglie del paese, a chiacchierare, come una volta. Una volta essiccati davanti al fuoco i fili rossi arrivano - dopo un viaggio di oltre duemila chilometri - nel magazzino di Chiasso, nelle mani altrettanto esperte del signor Fausto e della signora Rosa. Anche loro accarezzano lo zafferano con la stessa cura di cent’anni fa. Quello che è cambiato - e che cambia di continuo - è il prezzo.

A peso d’oro

Di recente è aumentato, come quasi tutto. Colpa del trasporto, principalmente, ossia del costo del carburante ma anche degli imballaggi. L’oro rosso del resto è soggetto a storiche fluttuazioni legate ai raccolti. «L’anno scorso la siccità ha ridotto i quantitativi e questo incide in modo preponderante», spiegano Gisella e Francesca. Anche in condizioni climatiche buone, da un ettaro di terreno esce in genere 1 kg di prodotto all’anno. «I costi non possono scendere più di tanto», osserva il signor Fausto per esperienza. Quando qualcuno bussa alla porta del magazzino - è capitato - offrendo «fantomatico zafferano trovato in Paesi esotici a due franchi al kilo» la sua risposta è sempre la stessa: «Non siamo interessati». Le contraffazioni in circolazione non mancano, ma hanno le gambe corte: «I consumatori si accorgono della differenza, non sono stupidi». E sono molto attaccati alle tradizioni. La polvere gialla in casa Pirogalli la mettono sul pesce al vapore, nella pasta al gorgonzola, Gisella la usa anche per fare ottime meringhe gialle e biscotti sablé. «Lo cuciniamo in tutte le salse. Abbiamo tentato di suggerire alla clientela ticinese utilizzi innovativi, come avviene oltre Gottardo». Ma il piatto forte almeno a sud delle Alpi resta quello di sempre: il risotto giallo. Anche questa è una tradizione, e forse è bello che non cambi.

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