La società

Mimetica sempre più rosa

Le donne in divisa sono in aumento anche se il sessismo esiste ancora
Giorgia Cimma Sommaruga
20.03.2022 07:03

La quota di donne nell’esercito svizzero è aumentata nel 2021, ma è ancora estremamente bassa. Lo scorso anno l’aggruppamento difesa contava 9.648 militari di cui 390 impiegati per la promozione della pace, il rafforzamento dei diritti dell’uomo e l’aiuto umanitario. Le donne nell’esercito in formazione invece erano 1.500. La responsabile del Dipartimento della difesa Viola Amherd vuole cambiare le cose, ma deve fare i conti con una storia e un ambiente da sempre maschile e con i casi di sessismo recentemente resi pubblici.

«Io ho scelto di entrare a far parte dell’esercito per quattro motivi - afferma il capitano Maria Tantardini, Ufficiale nello Stato maggiore del Gruppo del Comando della Guerra - prima di tutto per tradizione familiare, per una sfida personale, per dimostrare a chi non credeva in me che potevo farcela e infine, il motivo più importante è stato per rendermi utile e mettermi al servizio della mia patria». La responsansabile del Dipartimento della difesa è stata chiara, la quota delle donne in mimetica deve salire al 10% entro il 2030: «Ho sperimentato personalmente che i team misti lavorano meglio e sono più performanti, così deve essere anche per i militari».

Il solito, vecchio problema
Se la milizia è lo specchio della nostra società, non possiamo stupirci se anche all’interno dell’esercito gli atteggiamenti sessisti sono ancora molti: «Personalmente ho subito degli attacchi sessisti, ma è stato anche grazie all’aiuto dei miei camerati uomini che ho avuto il coraggio di denunciare e di eleborare ciò che ho subito», racconta Tantardini.

Tuttavia ciò non deve scoraggiare le donne a intraprendere questa strada, «si tratta di una grandissima occasione di crescita personale oltre che professionale, perché insegna il valore del sacrificio, e di mettersi a disposizione per la propria comunità», sostiene il sergente Camilla Ciriani. Chi per una sfida personale, chi per sogno, le donne che si presentano alla scuole reclute mostrano una determinazione fortissima, «per noi non è un obbligo, quindi se scegliamo di farlo vuol dire che siamo davvero motivate. E i ragazzi quando vedono che ce la mettiamo tutta, e non chiediamo aiuto per qualsiasi cosa, ci ammirano moltissimo - continua il sergente Ciriani - io vorrei diventare un militare di professione, ma da civile sono una assistente dentale, quindi dovrò fare avanzamento e se i miei superiori mi riterranno adeguata ci proverò senza esitazioni».

La determinazione fa differenza
«Io lavoravo nel mondo della moda, ma non mi sentivo a mio agio in quell’ambiente, ho sempre ammirato le donne militari, e così ho pensato: perchè non provare? - racconta Leandra Zimmerman, furiere ticinese ora assunta dal gruppo militare - quando sono arrivata nel 2020 avevo 25 anni, e alla scuola reclute ero tra i più vecchi. Il primo impatto è stato tosto. Uomini e donne fanno le stesse cose. Ci sono donne che si lamentano per tutto e donne che sputano sangue per guadagnarsi il rispetto. Io ho fatto il militare anche per lottare per l’uguaglianza: se gli uomini fanno alcune cose perché non possono farlo anche le donne?».

L’obbligo serve?
«Raccomando a tutti, uomini e donne, di impegnarsi per la comunità», consiglia il soldato Vittoria Taiana, che studia psicologia e attualmente si trova a Parigi per un master. «Per me - aggiunge - la scuola reclute è stata una grande opportunità di crescita professionale, poi per motivi di studio non ho potuto procedere con l’avanzamento, ma ho svolto uno stage come psicologo militare nell’esercito». Una esperienza molto forte, «probabilmente rendere obbligatorio il servizio militare per tutte le donne è sbagliato, perché è importante che ogni individuo possa mettersi al servizio del suo Paese secondo le proprie caratteristiche personali e fisiche - spiega il soldato Taiana -. Ci sono anche molti uomini che non hanno vissuto bene questo impegno, perché costretti: durante il mio stage ho assistito persone che avevano disturbi del sonno, ansia e cadevano nell’uso di sostanze stupefacenti». Un modo per evitare queste situazioni potrebbe essere «migliorare il processo di reclutamento», suggerisce. Tuttavia, «sarebbe importante imporre l’obbligo per la giornata informativa: molte ragazze ticinesi sono interessate, ma non hanno le giuste informazioni e dei punti di riferimento femminili. Per questo motivo non mi piace nascondermi, anzi, sono sempre in prima linea per incoraggiare le giovani donne a percorrere questa strada», racconta il capitano Maria Tantardini che ora lavora per l’Amministrazione federale a Berna.

«Ho avuto bisogno di credere in me»
I sacrifici e le rinunce durante il percorso della scuola reclute sono molte, ma non mancano le soddisfazioni. «Un ricordo importante - racconta Taiana - risale alla fine della scuola reclute; stavamo percorrendo una marcia di 50 km: se all’inizio del percorso mi avessero detto che ce l’avrei fatta non ci avrei creduto. Ero molto stanca, ad un certo punto abbiamo sentito le sirene dell’ambulanza. I miei compagni pensavano fosse per me, forse mi ritenevano la più debole. I soccorsi non erano per me, erano sorpresi e mi hanno fatto i complimenti. Quando sono arrivata alla fine - nonostante la stanchezza - ero felicissima, è stata una grande soddisfazione perché ho compreso che dove non arriva il fisico arriva la nostra testa».

Unite per fare la differenza
Il 16 febbraio 2020 è nata FiT donne in TAZ, una associazione con l’obiettivo di mettere in contatto tutte le donne nell’Esercito svizzero. Maria, Leandra, Camilla e Vittoria, assieme ad altre 142 donne ne fanno parte.

Le socie vanno dalle reclute giovanissime alle ufficiali giovani nello spirito, attive o che hanno terminato il loro servizio, di ogni arma e servizio ausiliario o complementare, italofone, romande e svizzero tedesche. «Unite facciamo la differenza e siamo sempre pronte a confrontarci, e poi cosa c’è di meglio che chiedere consigli a chi certe sfide le ha già affrontate prima di te?», dice il capitano Tantardini che ora è anche nel direttivo dell’associazione.

Esperienze oltreconfine
Una missione all’estero è entusiasmante, arricchente sotto una miriade di punti di vista. Ma anche molto dura. «Alle donne non serve la scuola reclute per partecipare ad una missione all’estero: io sono stata in Kosovo, il contingente più grande, poi ci sono anche altri teatri di impiego come la Bosnia - racconta il capitano Tantardini - il contatto con culture differenti apre gli orizzonti: ho avuto la possibilità di imparare molto in quel periodo».