Pandemia

Ondata di morte a Hong Kong

Il COVID sta facendo una strage ma in Occidente nessuno sa nulla
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
12.06.2022 14:03

Da poche centinaia fino a dicembre 2021 a poco più di 9mila vittime nel giro di pochi mesi. Sta tutta qui. Sta tutta nell’esponenziale crescita del numero di morti la drammaticità della quinta ondata di COVID a Hong Kong. La quinta e la più spietata. Maria (nome di fantasia, quello vero è conosciuto dalla redazione, n.d.r.) è svizzera e lavora da alcuni anni proprio a Hong Kong. Come altri duemila svizzeri è imprigionata in quella che a tutti gli effetti è diventata una gabbia. Sanitaria, ma non solo.

Qualche anno fa diversi amici e conoscenti di Maria sono stati arrestati per aver manifestato pubblicamente il loro dissenso contro Pechino. «Tutto è iniziato nel 2019 quando è entrata in vigore la Legge sulla sicurezza nazionale», spiega Maria. Da allora le voci critiche si sono spente. «Molti giornali hanno chiuso di loro spontanea volontà. In altri è arrivata la polizia». Opporsi al regime non è possibile. Stessa cosa criticare la gestione della pandemia. «Se in Occidente si è imparato a convivere con il coronavirus, qui lo si vuole combattere e vincere», sintetizza Maria.

I centri di isolamento

Una lotta senza quartiere. Che in molti casi stride con le libertà personali e i diritti civili. «Prima della variante Omicron e prima dell’esplosione dei contagi chi si ammalava doveva andare obbligatoriamente in ospedale - spiega Maria -. In breve tempo però gli ospedali sono collassati e le autorità hanno cambiato strategia». Una strategia molto chiara. «Chiudere i confini nazionali e isolare ogni persona malata e tutte le persone che ha incontrato». Ciò significa che «oggi chi si infetta e ha una casa grande può restare al suo domicilio. Tutti gli altri finiscono nei centri ». In uno di questi, «destinato appunto a chi è positivo e presenta alcuni sintomi, le persone sono obbligate a vivere in piccole stanze senza tetto, attaccate le une alle altre, strette in pochissimi metri quadrati e obbligate a stare 24 ore su 24 sotto la luce artificiale». A Maria trema la voce. Perché spera di non finirci mai.

L’isolamento non vale però solo per i malati. Ma anche per i loro contatti. «Che sono obbligati a recarsi nei centri di quarantena. Strutture con camere molto spartane, un bagno privato o in comune, una brandina, un armadietto e un tavolino». In questi centri si può però finire anche se si è stati a contatto con un positivo al ristorante o al cinema. Che a Hong Kong non hanno mai chiuso. «Qui il contact tracing non è come in Occidente, dove c’era un App ad avvertirti. Qui le autorità ti vengono a prendere», sottolinea Maria.

Test ogni giorno anche ai bimbi

La quarantena è obbligatoria anche per chi esce e rientra nel Paese. Come accaduto a Maria. Nonostante tre vaccinazioni e la guarigione dal COVID. Pagando è riuscita a trascorrere l’isolamento «in quello che doveva essere un vecchio albergo riadattato allo scopo».

Una metropoli sotto assedio. Del virus ma anche delle disposizioni sanitarie. Molto severe. «Le mascherine continuano a essere obbligatorie, non le abbiamo mai tolte dal 2020 a oggi - riprende Maria -. Devono portarle anche i bambini dai 2 anni in su e ovunque. Anche quando si fa un’attività all’aperto, come passeggiare in un parco da soli». Mascherine ma anche test rapidi. A tutti. Bambini compresi. «Mia figlia che va all’asilo deve fare un test rapido prima di entrare. Tutti i giorni». Una lotta senza quartiere. Che secondo le autorità dovrebbe distruggere il virus. Eliminarlo dalla faccia di Hong Kong. Un territorio sotto assedio. «Che non tornerà più quello di prima», dice Maria sconsolata.

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