Incontri

«Pensavo di aver fatto colpo sulla Regina invece odiava la mia barba»

Antonio Caprarica, giornalista e scrittore, racconta il lungo regno di Elisabetta II
Prisca Dindo
19.06.2022 06:00

Rigorosamente in completo british, mai senza la cravatta, Antonio Caprarica per anni ci ha raccontato, in libri, articoli e servizi televisivi da corrispondente da Londra, le vicende di Buckingham Palace con grande eleganza. Di recente, dopo Elisabetta. Per sempre regina. La vita, il regno, i segreti e E non vissero per sempre felici e contente. 50 principesse fuori di fiaba ha firmato un nuovo libro sui rapporti compromessi tra i due figli di Diana e Charles d’Inghilterra, William & Harry. Da inseparabili a nemici. A pochi giorni dalle celebrazioni del Giubileo di Platino, i 70 anni sul trono della Regina, Caprarica racconta questo lungo regno nella sua casa di Lugano.

Lei che è il più grande esperto italiano della Corte britannica cosa risponderebbe se le dicessi «London Bridge is down»?
«Le direi che sarebbe una pessima notizia. Io spero che quel ponte continui a stare in piedi malgrado la veneranda età. Per chi non lo sapesse, "London Bridge is down" è il nome in codice dell’operazione che accompagnerebbe la dipartita di sua maestà Elisabetta II. Non è un caso che per l’emergenza, sia stato scelto il nome di un ponte: la regina è davvero un collegamento tra due epoche, tra due mondi, tra due modi di vedere il mondo».

Da uno a dieci quanto ha invidiato l’orsetto Paddington che ha preso il thé con la regina in occasione del giubileo di platino?
«Lo devo ammettere: così intimamente, non mi è mai capitato di sedere accanto a sua Maestà. Tuttavia ho avuto la fortuna di prendere insieme a lei alcuni vini o digestivi. Nel corso della mia carriera sono stato ospite di Buckingham Palace in più occasioni. Sono stato a Palazzo reale senza dovermi portare da casa il famoso panino alla marmellata, come invece ha fatto l’orsetto più famoso di Inghilterra nel suo recente tête-à-tête regale».

Ma come ci si sente quando si condividono gli spazi con una regina?
«Con la regina si parla soltanto di ciò che decide lei. Elisabetta è una donna curiosa: fa domande ed ascolta attentamente. In queste occasioni, non si toccano mai questioni politiche. Si parla della propria vita, del tempo, della natura, di cavalli e di cani, che lei - come è notorio - adora».

Si ricorda della sua prima volta con Elisabetta II?
«Quando mi presentarono a sua Maestà mi sembrò che si fosse soffermata più a lungo sui miei lineamenti. Sono un uomo del sud: l’idea di aver fatto colpo sulla regina era abbastanza seducente. Poi un dignitario mi spiegò che quello sguardo durato un po’ più a lungo del solito non era un segnale di apprezzamento, bensì di biasimo: la regina odia le barbe».

Torniamo allo sketch con l’orsetto Paddington. Secondo lei sarebbe stata possibile una scenetta di questo tipo prima della tragedia di Diana?
«Penso di sì. La regina ha sempre avuto un forte senso dell’umorismo. Nessuno batte gli inglesi nel campo dell’autoironia. Direi piuttosto che senza Diana non sarebbe mai stata possibile la serie dei matrimoni borghesi che hanno avuto luogo negli anni 2.000».

In che senso?
«Ad esempio senza di lei non sarebbe stato possibile il matrimonio di Harry con l’attrice Meghan Markle. Non mi riferisco alla scelta della sposa, che ha origini afroamericane. Mi riferisco alle modalità della cerimonia, conclusasi tra le altre cose, con un un coro gospel. Note mai risuonate nella cappella di San Giorgio a Windsor per un matrimonio regale».

Quella di Diana è stata una vittoria postuma…
«Il paradosso di Diana è proprio questo: da viva non è riuscita a cambiare la monarchia, ma la sua morte ha influenzato profondamente lo stile di vita dei Windsor. Dunque si, la sua è stata una vittoria postuma».

Vedere il piccolo Louis di Cambridge sulle ginocchia di Charles durante il recente giubileo di platino della regina che effetto le ha fatto?
«Ho pensato a quella volta in cui il piccolo Charles attendeva la sua mamma di ritorno da un viaggio. Teneva la mano di sua nonna, stretto nel suo cappottino verde davanti al treno. Elisabetta scese dalla carrozza, vide il piccolo principino in attesa. Invece di abbracciarlo, come avrebbe fatto qualsiasi mamma, lei lo salutò con una breve (e gelida) carezza sulla testa. Lui abbassò lo sguardo e le baciò la mano. Le effusioni d’affetto finirono lì. Questi erano rapporti tra i famigliari in casa Windsor».

Oggi queste modalità sembrano distanti anni luce…
«Certo! Vedere il principino Louis che saltella sulle ginocchia del nonno è la misura di quanto sia cambiata la famiglia reale. Il più piccolo dei Cambridge ha dato spettacolo e il web l’ha già incoronato suo re».

Gli inglesi vogliono forse reali più alla mano?
«Certamente, ma non bisogna fraintendere: non stiamo parlando di una monarchia "in bicicletta". Gli inglesi non vogliono un sovrano da incontrare al supermercato, in puro stile scandinavo. Vogliono qualcuno che in un qualche modo condivida il loro modo di vivere gli affetti, di guardare alla vita. Qualcuno insomma che sia meno remoto».

Elisabetta non eccelle certo in questo campo…
«Se un appunto si può muovere a Elisabetta è proprio questo: la sua idea di dignità reale è combaciata con l’idea di un sovrano sideralmente lontano dai sentimenti della gente comune. Elisabetta ha abrogato tutti i sentimenti. Invece i suoi discendenti hanno scoperto che per sopravvivere devono esibirli. Ciò funziona pazzamente. Il successo del giubileo di Elisabetta è stato il successo della regina e del suo bis nipote Louis, che si è guadagnato il palcoscenico insieme alla sua bisnonna».

Le facciacce di Louis hanno fatto il giro del mondo. Non si vedeva tanta esagitazione reale dai tempi di Harry…
«A dire il vero anche William è stato uno vera peste. Una volta azzannò i polpacci dell’ arcivescovo di Canterbury perché voleva imitare i corgi, i famosi cani di nonna Elisabetta. La differenza è che una volta i bambini discoli venivano ripresi e messi da parte, oggi succede il contrario. L’impertinenza del principino che fa maramau alla mamma è stata esibita al mondo. Sono prove di normalità dei reali. Che poi è quello che il pubblico di oggi vuole».

William & Harry. Da inseparabili a nemici è il titolo del suo ultimo libro che fa riferimento alla rottura tra i due figli di Diana e Charles. Il motto «fratelli coltelli» vale anche per le case reali?
«Purtroppo sì. Forse è inevitabile? Oppure siamo di fronte al conflitto perenne tra il numero uno e il numero due? Da un lato il cadetto invidia il destino di numero uno del primogenito, dall’altra il primogenito invidia al cadetto la libertà che un sovrano non ha e che non avrai mai».

La famosa Golden Cage descritta da Diana…
«Da questo punto di vista Diana aveva ragione. La reggia è una gabbia dorata. E aveva ragione quando cercava di educare i suoi figli fuori dalla gabbia dorata».

C’è riuscita secondo lei?
«Sembrava di si. La monarchia del ventunesimo secolo trova gran parte della sua legittimità proprio nell’eredità di Lady D. Questa è la monarchia come l’avrebbe voluta lei. Purtroppo la fuga di Harry e la rottura tra i due fratelli compromette in parte questo importante lascito di Diana Spencer».

Molti puntano il dito contro Meghan. Lei?
«Meghan è solo l’innesco di un conflitto che ha tante cause. Harry è sempre stato il capro espiatorio. I comportamenti riprovevoli potevano essere di entrambi, ma chi ne pagava il prezzo era sempre il numero due, mai il numero uno. L’unico a finire sempre in prima pagina dei giornali scandalistici era il piccolo Harry».

Harry finiva sui tabloid e William che faceva?
«Invece di difenderlo dalle accuse della stampa, William si defilava. E con lui il principe Carlo. Così la storia ci trasmette pagine e pagine di giornali con Harry che consuma la droga a 14 anni; Harry che si ubriaca a 16; Harry che si mette la camicia nazista a 22. Tuttavia, nella maggior parte dei casi Harry non era mai solo: era con il fratello. Solo che William, essendo destinato a diventare re, doveva rimanere più candido del bianco. Doveva restare fuori».

«God save the queen» recita l’inno del Regno Unito. Ma in futuro «God will save the next King»?
«Bella domanda… sì penso di sì. Dio salverà il re. Il problema di Charles sarà piuttosto quello di controllare la sua lingua. In veste di principe ereditario, finora ha potuto esprimere liberamente le sue opinioni. Quel giorno che verrà incoronato non potrà più farlo. Non potrà più disquisire sui temi come se fosse un cittadino qualunque, o quasi».

Secondo lei Charles sarà all’altezza?
«Charles é un uomo preparato. È il primo erede al trono laureato a Cambridge. Ha anche idee innovative: ha già fatto sapere che vuole una monarchia dimagrita. Intende abbondonare Buckingham Palace; trasferire tutte le attività della monarchia a Windsor; trasformare la reggia attuale in una sorta di museo nazionale. Ci saranno innovazioni. Ma il suo sarà un regno breve, per ovvi motivi anagrafici».

Charles siederà al trono con Camilla, la duchessa di Cornovaglia?
«Sua Maestà si è già curata di risolvere questo problema legato al ruolo della moglie di Charles. Elisabetta ha già fatto sapere che quando non ci sarà più lei desidererebbe che Camilla segga accanto al figlio come regina consorte. E se il desiderio è della regina».

La monarchia sopravviverà secondo lei?
«Gli europei mi chiedono spesso quando gli inglesi si libereranno della monarchia. In realtà gli inglesi non hanno nessuna intenzione di liberarsi della famiglia reale. Forse bisognerebbe porre la domanda in un modo diverso. Ossia quando i Windsor si stancheranno degli inglesi. Questa è una possibilità concreta».

Un giorno i reali potrebbero essere stufi di regnare?
«Perché no… Perché é vero che gli inglesi li mantengono bene, però è anche vero che loro pagano un prezzo elevatissimo. Sono costantemente sottoposti a scrutinio. Ogni loro gesto viene passato al setaccio, prima dei tabloid poi dell’opinione pubblica. La loro è una vita faticosa da certi punti di vista. Comunque sia, penso che la monarchia abbia ancora un futuro. Ma dovrà reinventarsi. Come ha sempre fatto».

Un’ultima domanda. Perché dopo tanti anni in Inghilterra, ha scelto di venire ad abitare anche in Ticino?
«Per una ragione di amicizia credo. Ero alla ricerca di un posto tranquillo dopo una vita frenetica. Confesso però che la tranquillità non fa per me. Risiedo in Ticino quando ho voglia di tranquillità. Tuttavia, quando mi chiedono dove vivo, io rispondo sempre: "In aeroporto"».