Il commento

Per essere sostenibili non basta il rating

Le agenzie che vendono valutazioni ambientali imperversano sul mercato, ma non sono sufficienti
Jenny Assi
12.03.2023 07:00

A seguito della richiesta di investimenti sostenibili, è esploso il numero di agenzie che propongono rating (valutazioni) sulle aziende in ambito ambientale, sociale e di governance. Queste agenzie concorrono sul mercato per diventare fornitrici di dati per banche e assicurazioni. 

Risultato? Le aziende, oggetto delle valutazioni, devono sempre più spesso compilare formulari, rispondendo a domande di vario genere: «Avete un codice di condotta? Quali materie prime utilizzate? Quanti rifiuti generate? Quanta acqua consumate? Quante emissioni di gas serra producete?». Dopo una compilazione complessa e molto articolata - spesso i questionari superano le 80 domande - l’azienda si ritrova con una valutazione finale del suo grado di sostenibilità. Il rating potrà poi essere utilizzato per favorire o per discriminare l’azienda in fase di selezione di un credito o di un investimento finanziario. Le valutazioni sono spesso usate dalle grandi aziende per la selezione dei loro fornitori.

Una delle piattaforme più utilizzate a questo scopo è EcoVadis. Decine di migliaia di aziende, su richiesta dei loro clienti, hanno già dovuto fornire a questa, e altre piattaforme simili, i loro dati e le loro informazioni interne per l’ottenimento dei rating di sostenibilità. Quanto sono davvero utili queste valutazioni? Da una parte hanno il pregio di sensibilizzare il mercato nei confronti delle tematiche ambientali, sociali e di buona condotta aziendale, dall’altra parte, però, arrischiano di banalizzare il tema. Infatti, questi rating possono essere utili se fungono da base per la creazione di un dialogo tra banche e imprese e tra clienti e fornitori sugli obiettivi di sostenibilità da raggiungere. Possono invece diventare frustranti se inducono le aziende a dover fornire enormi quantità di informazioni soltanto per ricevere un punteggio finale espresso da un numero (es. 0-100) o da lettere (es. A, A+, AAA, ecc.). Lo sviluppo di piattaforme ingegnerizzate, utilizzate per fornire rating di sostenibilità, arrischia infatti di raggiungere un mondo delle PMI ancora impreparato per essere valutato in modo corretto. È dunque urgente informare e formare le imprese, per gestire anziché subire l’universo dei rating. Non dimentichiamo che la sostenibilità implica un processo culturale.

È certamente importante abituare le imprese a misurare, attraverso l’utilizzo di indicatori, gli impatti ambientali e sociali delle loro attività, ma è altrettanto importante creare una cultura basata sul senso di responsabilità. Ad esempio, è inutile elaborare un codice di condotta per il personale soltanto perché lo richiede la società di rating, se non si comprende che questo codice rappresenta uno strumento quotidiano di lavoro e di dialogo con i propri dipendenti. Inutile scrivere in un codice di condotta che: «In azienda devono essere garantite pari opportunità», se poi questo principio non è allineato ai valori del management. Il processo di sostenibilità non può essere solo informatizzato, ma va compreso per essere concretizzato. Si tratta di un percorso di crescita collettiva che non può passare solo dai numeri e dalle lettere, ma che necessita di capacità di dialogo e di condivisione di obiettivi legittimi e comuni.

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