Pier Paolo Pasolini 100 anni dopo
Provocazioni. Intuizioni. Coraggio. Chi era Pier Paolo Pasolini? A un secolo dalla sua nascita, 5 marzo 1922, e mentre su giornali e tv riaffiorano ricordi personali e bilanci letterali, molti si interrogano sulla necessità della letteratura, della poesia. Eppure Pasolini è morto 46 anni fa, nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975, sul lungomare di Ostia.
E oggi i giovani non hanno un’idea precisa di chi sia stato e del perché valga la pena leggerlo. Probabilmente hanno sentito parlare degli scandali, delle polemiche, dell’enigma - non risolto - della sua morte. Oggi raffigurato su giganteschi murales, Pasolini è diventato un’icona pop. Poesia, arte cinema. È stato un artista coraggioso. Ma tra tutte le arti che ha sperimentato, ha scelto di definirsi sempre «un poeta». Da vivo ha avuto compagni di strada e detrattori. Una volta scomparso è diventato un mito, più evocato che letto. «Per capirlo davvero non possiamo eludere la sua opera, dobbiamo analizzarlo seriamente», interviene Giacomo Jori, professore straordinario di Letteratura italiana all’USI, che ha dedicato un saggio a Pier Paolo Pasolini edito da Einaudi nel 2001, del quale sta curando una riedizione. «Negli ultimi 21 anni si è accumulata un’imponente bibliografia, dunque il lavoro critico è davvero impegnativo, il mio interesse per questo autore non è venuto meno, e oggi più che mai è necessario conoscerlo».
Tutto comincia a Bologna
Pasolini era un bambino «molto capriccioso. Mi entusiasmavo facilmente. Volevo capire le cose, ero curioso e testardo», ricorda il poeta in una intervista del 1971 con Dacia Maraini su Vogue. È nato a Bologna, il padre era un ufficiale dell’esercito. La madre, friulana di Casarsa, una maestra. «Bologna è stata fondamentale perché è la sua nascita emiliana. Questa città è stata per lui l’università e l’incontro con alcuni dei suoi maestri - ricorda Giacomo Jori -, fra loro vi è Roberto Longhi, professore di storia dell’arte, al quale dedica Accattone, uno dei suoi film romani». E poi non possiamo dimenticare «i luoghi che hanno segnato gli anni universitari - continua -, egli stesso si definisce «uno nato in una città piena di portici», fra questi il Portico della Morte, ed è lì, nelle bancarelle che vendono libri, che Pasolini ha fatto le sue prime grandi letture».
Il significato di Bologna come capitale culturale ha senz’altro lasciato il segno nella formazione di Pasolini, però, non è stato l’unico. «Pasolini rimane uno di quegli autori imbevuto di tante linfe linguistiche e culturali differenti, di tanti campanili italiani». Pasolini è - a ben vedere - un «poeta di tanti luoghi, Bologna, il Friuli e Roma i principali».
Una grande umanità
Pier Paolo Pasolini è il più sperimentale fra gli scrittori del secondo Novecento, «fedele alla poesia ha praticato tutte le arti», inoltre, spiega Jori, «ha conosciuto in tutti i suoi strati la piramide sociale, dall’alta borghesia alle borgate romane, dal centro ai margini», e proprio perché conosceva profondamente l’umanità che lo circondava, è stato capace di ritrarla in presa diretta, di conoscerla con lucidità critica. Quando «sentiamo parlare di «Pasolini profetico», di Pasolini in grado di prefigurare l’Italia odierna, «dobbiamo essere consapevoli che questa sua capacità di analisi gli deriva da questa conoscenza».


Tra sacro e profano
Pasolini era omosessuale e non ne ha mai fatto mistero. Ciò non toglie che ne abbia sofferto, soprattutto in gioventù. «Aveva scoperto la sua omosessualità a sei anni, l’avevano perseguitato e irriso per questo», racconta Dacia Maraini, sua storica amica, in una intervista al Corriere della Sera. E a correre su due binari paralleli, quasi come una costante nella sua vita, vi erano la sua forte fascinazione per il sacro. «L’interesse per il cristianesimo è nato dopo la guerra, sotto l’incubo quotidiano della morte, a contatto con il mondo contadino di Casarsa. Attraverso l’estetismo ho riscoperto la religione», spiega lui stesso nell’intervista del 1971 su Vogue. Forse una contraddizione. Ma pensiamo al Vangelo secondo Matteo, uno dei capolavori del cinema italiano di più intensa spiritualità, sorge spontaneo chiederci: non vi è conflitto tra omosessualità e i dettami della religione cattolica? «Beh… - precisa Jori -Pasolini ha fatto della sua omosessualità uno strumento di conoscenza della religione, e ha reinterpretato dati della propria esistenza in chiave quasi teologica usando categorie che prende dalla Bibbia». Ad esempio, continua Jori, «per definire la propria «diversità» (omosessualità), usa la parola scandalo. Ma la parola scandalo non va intesa nel senso più banale, va intesa come fa lui, nel senso di San Paolo apostolo, ovvero del cristianesimo come una religione che si è affermata facendo scandalo. E allora lui fa di questo scandalo che vive in prima persona, una chiave per accedere alle origini della fede cristiana». E a ben vedere, guardando il film il Vangelo secondo Matteo, non passa inosservata la figura di Maria che è interpretata da sua madre, e «Cristo rappresenta il poeta che fa scandalo in una società che non lo sa ascoltare», spiega Jori.
È un poeta per tutti?
«Pasolini poeta per tutti? No, è per chi lo prende seriamente, come tutti i grandi autori. Non è da sminuire, non è da intendersi come un fenomeno pop», spiega il professore, che confida a La Domenica: «Io chiedo ai miei studenti di utilizzare una chiave di lettura che potrebbe sembrare contraddittoria vista la biografia di questo artista, ma che trovo particolarmente adatta: Pasolini come poeta religioso. Spesso i testi religiosi ci inquietano all’inizio, ma poi, andando avanti a leggere, ci arricchiscono interiormente: lo stesso vale per Pier Paolo Pasolini».
Il Corriere del Ticino ha consacrato al successo Pier Paolo poeta
«Sembrerebbe un autore dialettale, a prima vista, questo Pier Paolo Pasolini, per queste sue friulane Poesie a Casarsa». Cosi esordiva Gianfranco Contini, filologo tra i massimi esponenti della critica stilistica e della storia della letteratura italiana, il 24 aprile 1943 sulla pagina letteraria del Corriere del Ticino. «Al limite della poesia dialettale», titolava Contini il suo saggio, o, per meglio dire, la sua critica alla raccolta poetica del giovanissimo Pasolini. Contini, che nasce nel 1912 a Domodossola, è già un accademico affermato e intesse legami profondi con la Svizzera, visto che dal 1938 ottiene la cattedra di filologia romanza presso l’Università di Friburgo, e poi con la Svizzera italiana, scrivendo sulle pagine del Dovere, Libera Stampa e il Corriere del Ticino.
Gli interventi
Gli interventi sulla stampa ticinese hanno fatto storia e per certi versi scuola. «Al limite della poesia dialettale» è infatti il primo saggio critico che consacra il giovane Pasolini come poeta, così come amava definirsi lui stesso. Le poesie a Casarsa, pubblicate in raccolta nel 1942, sono «un librettino di neppur cinquanta pagine – spiega Contini – in questo fascicoletto si scorgerà la prima accessione della letteratura all’aura della poesia d’oggi». Insomma, superficiale considerare l’importanza di una recensione positiva, quanto evidenziare che l’effettiva consacrazione del poeta, è avvenuta sul Corriere del Ticino. Quel giovane che scrive in dialetto friulano si distingue. Si distacca dai suoi colleghi contemporanei. Affresca un mondo, nei suoi versi, nuovo e quasi sconcertante. Pienamente contemporaneo. Tant’è che lo stesso Contini osserva: «Basti senz'altro raffigurarsi innanzi il suo mondo poetico, per rendersi conto dello scandalo ch'esso introduce negli annali della letteratura dialettale, posto sempre che questa categoria abbia ragion d'essere. Chiamiamola pure narcisismo, per intenderci rapidamente, questa posizione violentemente soggettiva».
E allora se è pur vero che il 14 luglio 1942 Pasolini pubblica, a spese proprie, la sua prima raccolta poetica, è altrettanto vero che nel suo fare poetico la scelta del dialetto friulano è sfida. La sfida di un giovane intellettuale che accoglie con le esigenze di rinnovamento poetico, la suggestione di nuove aperture politiche e sociali.